La campagna elettorale per il ballottaggio delle elezioni comunali milanesi si avvia alla chiusura tra le polemiche. Al confronto televisivo di oggi non parteciperà infatti il candidato del centrosinistra, Giuliano Pisapia. Il suo portavoce ha fatto sapere che “il campo di Sky è squalificato” così come l’attuale sindaco, Letizia Moratti.
Al di là dei reciproci attacchi il confronto tra i programmi dei candidati continua comunque a offrire degli spunti interessanti di dibattito. Sul tema della sussidiarietà e del welfare IlSussidiario.net ha chiesto un parere a Massimo Ferlini, Presidente della Compagnia delle Opere di Milano e a Don Virginio Colmegna, Presidente della Fondazione Casa della Carità. «Proprio riguardo alla libertà di fare, questione fondamentale per il mondo del welfare e del no profit, credo che ci sia un’importante differenza d’impostazione tra i candidati – dice Massimo Ferlini -. Ed è su questo tema che Milano si gioca oggi il futuro e la qualità dei propri servizi. In questi ultimi anni di governo della città ha prevalso lo schema secondo il quale il servizio pubblico viene assicurato dalla società. All’interno di questo modello l’assessorato ha accreditato i soggetti in grado di rispondere all’esigenza di servizi pubblici: dagli asili nido alle opere che si occupano di formazione o di sostegno alla persona. In questo modo il Comune ha potuto sopperire all’attuale crisi di risorse e ha potuto rilanciare quella voglia di fare che c’è ancora e che a Milano in particolare ha ragioni educative profonde».
Se questa è l’impostazione dell’amministrazione Moratti qual è invece quella proposta da Pisapia? «A giudicare dal suo programma, la proposta è il ritorno a un modello vecchio: il pubblico è l’unico soggetto in grado di fare il progetto e di sapere cosa serve alla città. La società viene, eventualmente, chiamata a fare quello che le istituzioni hanno deciso e progettato. A mio avviso, dietro la richiesta di una “regia” forte del Comune si nasconde un principio che vuol mettere fine a quella rete di privato sociale cresciuta in questi anni, una delle ricchezza di Milano che, giustamente, chiede ancora più libertà per crescere».
Una diversa impostazione di fondo che, secondo Ferlini, si riflette su diversi ambiti, come ad esempio quello della povertà. «Milano può fare ancora molta strada se si parla di lotta alla povertà. Si può anche avere in mente un’immagine di società perfetta, ciò che conta però non è un “ottimo” virtuale, ma quel “meglio” da conquistare giorno per giorno. E contro la povertà o qualcuno è davvero convinto di avere la soluzione in tasca oppure è più ragionevole sostenere chi già oggi lavora in questo campo, dal Banco Alimentare all’opera di Fratel Ettore…».
In questi giorni si parla molto anche di immigrazione e integrazione. Quali sono le ricette proposte dai due candidati alla poltrona di Sindaco di Milano? «Per giudicare il lavoro di Letizia Moratti bisogna partire dai fatti di questi anni. L’impostazione del Comune su questo tema è stata chiara: l’integrazione passa attraverso la legalità e il lavoro. In questo modo è stato riproposto nel concreto e a tutti l’editto del Vescovo Ariberto del 1018: “Chi sa lavorare e viene a Milano è un uomo libero”. Bisogna, a mio avviso, proseguire su questa strada tenendo insieme la sicurezza dei cittadini e percorsi di integrazione per chi si mette in regola». La proposta di Giuliano Pisapia invece da che concezione parte? «Vedo che a sinistra sopravvive ancora una lettura falsa della realtà dell’immigrazione che parte dall’assioma: immigrato uguale clandestino uguale povero e bisognoso. Da una ricerca della Cdo è emersa una realtà completamente diversa: a Milano gli immigrati stabili e in regola sono ormai oltre 200.000 e il 20% di questi è proprietario di una residenza. Questo significa che Milano, attraverso il lavoro, è ancora capace di accogliere. D’altronde il milanese non esiste né per razza, né per censo, ma per lavoro. Per questo abbiamo istituito il Premio San Bernardo che viene assegnato ogni anno a quegli immigrati che sono riusciti ad affermarsi a Milano».
Uno dei temi su cui si è discusso poco in questa campagna elettorale è poi quello della famiglia. Che spunti offrono le proposte dei due schieramenti? «Anche a questo proposito emergono scelte ideali o ideologiche diverse. Nel programma del candidato del centrosinistra c’è innanzitutto una confusione di fondo riguardo a cosa si intenda con il termine “famiglia”. A mio avviso, da un punto di vista laico, non è famiglia tutto ciò che sta insieme ma, a partire dal Diritto Romano, solo ciò che permette la riproduzione. Da questo equivoco di fondo le conseguenze sono inevitabili: se si allarga a qualunque tipo di coppia l’assegnazione di case e servizi non si aiuta la famiglia e la natalità. Anche qui la discontinuità con le scelte di questi anni della Moratti, dall’ampliamento dei posti degli asili nido al sostegno delle famiglie con problemi economici alla conciliazione dei tempi di famiglia e lavoro, è evidente».
Tra i due candidati non sembrano proprio esserci punti di contatto: se per la Moratti il nuovo Piano di Governo del Territorio è uno dei fiori all’occhiello della sua amministrazione, per Pisapia l’obiettivo di questo progetto è la densificazione della città e l’eliminazione degli spazi verdi. «La realtà è un’altra. Il Pgt fissa norme rigide per ricreare una città dove sia assicurata la mobilità delle persone, delle cose e delle idee. Suddivide gli spazi addensando la parte edificata e liberando il territorio, in modo da restituire spazi al verde e ai servizi. Per questo è evidente che chi si candida annunciando ricorsi al Tar per bloccare il Pgt vuole lasciare Milano così com’è e, se possibile, con più asfalto e meno verde».
Alla luce di questo ragionamento, come si spiega però che alcune realtà del no profit si stiano spendendo per la vittoria del candidato del centrosinistra? «La mistificazione ideologica mi sembra innegabile perché viene portata avanti da soggetti che evidentemente ritengono di aver partecipato in questi anni a programmi del tutto sbagliati. Lo dico con rammarico perché nel frattempo si era riaperto un dialogo con tutti e si era creato un rapporto virtuoso di relazioni e di rete tra le diverse centrali del no profit. La scelta politica e ideologica da parte di qualcuno sembra comunque prevalere tant’è che si arriva a negare il buono che questi stessi soggetti hanno contribuito a creare. Magari grazie proprio a ruoli di primo piano…».
(Carlo Melato)