Mentre si avvicina la Notte degli Oscar ricordiamo il trionfo 20 anni fa di "Million Dollar baby" di Clint Eastwood
Vent’anni fa come stasera trionfava nella notte degli Oscar, aggiudicandosi ben quattro statuette, tra le quali quelle per il miglior film e la miglior regia, il film Million dollar baby di Clint Eastwood. Riconoscimenti quanto mai azzeccati, soprattutto quello per la messa in scena registica, carica di significati metaforici e di straordinaria bellezza visiva.
Tratto da un racconto della raccolta “Lo sfidante” dello scrittore ed ex pugile statunitense Jerry Boyd, a sua volta ispirato alla sfortunata vicenda vera della boxeur Katie Dallam, Million dollar baby racconta una storia di palestra e di ring, di riscatto personale e sociale, di rapporti persi e poi recuperati, finendo con una struggente questione aperta sul delicato tema dell’eutanasia.
Magnifici anche i tre interpreti principali di Million dollar baby: Clint Eastwood stesso che interpreta il burbero allenatore, Hilary Swank che impersona la giovane ambiziosa pugile e Morgan Freeman che recita da par suo il ruolo dell’ex pugile gestore della palestra; due dei quali gratificati con l’Oscar nelle rispettive categorie (miglior attrice protagonista per la Swank e miglior attore non protagonista per Freeman).
Maggie Fitzgerald (Hilary Swank) è una cameriera con la passione per la boxe, che riesce a convincere lo scontroso allenatore Frankie Dunn (Clint Eastwood) a farle da manager. La sua voglia di riscatto e la ferrea volontà, unite ai magistrali consigli di Frankie, ne fanno rapidamente una campionessa della boxe professionistica femminile. Ma il match per il titolo mondiale, l’occasione della vita, le sarà fatale: una scorrettezza della rivale le causa l’incidente che la paralizza. Dopo molte sofferenze, Maggie ormai permanentemente ridotta a completa infermità, chiede a Frankie di staccare la spina che la tiene in vita. Egli, inizialmente contrario e poi tremendamente dibattuto, alla fine aderisce alla volontà della ragazza.
Con questo film, Million dollar baby, uno dei suoi migliori in assoluto, Eastwood offre allo spettatore una singolare quanto convincente riflessione su alcune tematiche proprie del rapporto tra generazioni, in particolare sul ruolo di padre – in senso lato – e sulla capacità o meno di trasmettere qualcosa delle proprie esperienze ai giovani, nonché sulla caducità intrinseca di alcuni miti, come quello del facile successo. L’occasione del match che vale il mondiale, che capita una sola volta nella vita, porta Maggie alla paralisi: è stata una buona scelta da parte di Frankie incoraggiare la ragazza in tale direzione? Oppure avrebbe dovuto proteggerla di più?
Quindi, qual è il giusto grado di protezione da parte di un genitore? Lasciar fare tutto senza rete oppure tenere i figli sotto la classica campana di vetro, col rischio di ritrovarseli come il Robertino del film di Massimo Troisi Ricomincio da tre (1981)? L’equilibrio tra i due opposti – qui un po’ stilizzati – non risulta facile per nessuno, e Million dollar baby mantiene in nuce questo dilemma, in sottotraccia rispetto al fluire lineare della narrazione di taglio classico. Dalla magistrale messa in scena di Million dollar baby, però, affiorano comunque dei contenuti forti, in forma metaforica di segno-significante-significato.
Due esempi su tutti: Frankie va spesso in chiesa, e da un dialogo col prete capiamo che ha un rapporto problematico e al momento interrotto con la figlia. Quindi, per tutto il film Million dollar baby il suo volto è ripreso, quasi sempre, con un taglio di luce che lo divide in due, per metà chiaro e per metà scuro: metafora cinematografica di un tormento interiore, sia per l’irrisolto rapporto con la figlia che per la drastica decisione dicotomica che lo attende alla fine del film.
Altro passaggio emblematico in tal senso è la sequenza con cui si apre Million dollar baby. Maggie cammina a fianco di Frankie nel tunnel degli spogliatoi del palazzetto dello sport, dove si svolgono incontri cui il manager deve assistere. La ragazza chiede all’allenatore con insistenza di essere presa come apprendista boxeur, lui la sconsiglia. La passeggiata si svolge tra un’alternanza di luce e ombra nel corridoio semibuio, simile a un androne. Poi Frankie esce sugli spalti. Mentre guarda l’incontro l’inquadratura lo coglie frontalmente, svelando alle sue spalle la scritta luminosa “exit” alla sommità dell’ingresso alle gradinate. Inutile sottolineare il riferimento simbolico all’atto conclusivo della vicenda narrata nel film.
Questo solo per notare i due passaggi più evidenti, ma tutto il visivo del film Million dollar baby è una miniera di allegorie e metafore. La bravura dell’Eastwood regista consiste nel saper lavorare su due piani, sia su quello dell’espressività dell’immagine in sé, manco si trattasse di cinema espressionista tedesco, sia sulla trasparenza prevalente della messa in scena, di taglio eminentemente classico e volta a beneficiare lo spettatore di un racconto ben confezionato e intelligibile.
Rimane invece circoscritta al finale del film Million dollar baby la non secondaria faccenda dell’eutanasia. In questa, Eastwood e lo sceneggiatore Paul Haggis si mantengono neutrali, nel senso di fornire con la conclusione del film più domande alte che univoche risposte. Esito valutato positivamente anche dalla Conferenza episcopale italiana, la quale in una nota della commissione di valutazione dei film ha ritenuto che in Million dollar baby “arriva l’eutanasia, ma non come soluzione ideale (…). Frankie compie il gesto sbagliato, e ne è consapevole (…), il film pone domande mai gratuite, dentro una cronaca lucida, scarna, coraggiosa”.
Ma nell’economia complessiva del film Million dollar baby il fatto arriva inevitabile: Frankie rivede in Maggie la figlia con cui ha dolorosamente rotto da anni, l’atto finale dell’eutanasia è un estremo disperato gesto d’amore e di assunzione delle proprie responsabilità. L’emozione che l’Arte Cinematografica sa creare spesso arriva a toccare corde che l’ordinaria ragione non contempla.
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