Mogol: “Lucio Battisti? All’inizio non mi sembrò granchè”/ “Fra poco lo rivedrò…”

- Davide Giancristofaro Alberti

Il maestro Mogol ha ricordato Lucio Battisti e il loro sodalizio in una bella intervista rilasciata ai microfoni del Corriere della Sera: le sue parole

Mogol presentazione libro lapresse 2020 640x300 Mogol, al secolo Giulio Rapetti (Foto LaPresse)

Il grande autore Giulio Rapetti Mogol è tornato a parlare del sodalizio con l’immenso Lucio Battisti, artista che se fosse ancora fra di noi avrebbe compiuto 80 anni domenica prossima. E pensare che all’inizio Mogol non fu affatto impressionato dall’artista: «Ci fece conoscere Christine Leroux – racconta oggi ai microfoni del Corriere della Sera – direttrice di una casa di edizioni musicale che aveva fatto un contratto a Lucio. Lui mi fece sentire due canzoni. “Non mi sembrano un granché”, dissi. E lui “In effetti… sono d’accordo”. Era semplice e umile, sorrise nonostante la batosta. Per non sentirmi un verme miserabile gli proposi di vederci per provare a fare qualcosa insieme. Nacquero “Dolce di giorno” e “Per una lira”. Farei bella figura a dirlo – ha aggiunto – ma non avevo intuito nulla. Però la terza canzone fu “29 settembre” che divenne un successo dell’Equipe 84. All’inizio Lucio non voleva cantare, dovetti insistere prima di convincerlo».

E ancora: «Era moderno. Non cantava per far sentire la voce, ma per comunicare qualcosa. Lui era un matematico. Studiava sette ore al giorno le canzoni dei più grandi artisti mondiali, un giorno mi disse che si era concentrato solo sulle pause di alcuni successi. Io ero la parte letteraria, mi chiamava “il poeta”. Ho sempre scritto le parole dopo la musica perché credo che ogni frase musicale abbia già un suo senso». Secondo Mogol il più grande successo con Battisti è stato: «“Il mio canto libero”. Racconta di un mio nuovo amore dopo il divorzio. Allora non era cosa comune e infatti inizia con “in un mondo che non ci vuole più».

MOGOL, BATTISTI E I PRESUNTI SIGNIFICATI POLITICI DELLE LORO CANZONI

Una canzone splendida quanto avanguardista che qualcuno aveva letto anche in chiave politica, così come «boschi di braccia tese» di «La collina dei ciliegi» interpretati come una folla che fa il saluto romano: «Quelle braccia non erano un simbolo politico – ha replicato Mogol – lo hanno detto anche per quelle della copertina di “Il mio canto libero”. Ma sono braccia con i palmi aperti come per un’invocazione al signore. Volevano darmi del fascista perché non facevo canzoni impegnate».

«Non ho mai sentito Lucio parlare di politica – ha aggiunto Mogol semplicemente non scrivevamo canzoni per il comunismo. Però i dischi di Lucio vennero trovati nel covo delle Br: è un fatto storico». Mogol ha concluso l’intervista con un simpatico messaggio rivolto a Battisti: «Lucio sta tranquillo, che tra un po’ staremo di nuovo insieme… Ho 86 anni…».







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