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Home » Musica e concerti » BERNARDINI SOSTIENE CHE/ Il perdono divino nel Requiem di Mozart (anche per Celentano)

  • Musica e concerti

BERNARDINI SOSTIENE CHE/ Il perdono divino nel Requiem di Mozart (anche per Celentano)

Massimo Bernardini
Pubblicato 21 Febbraio 2012
MozartR400

Wolfang Amadeus Mozart

Una nuova puntata della rubrica di MASSIMO BERNARDINI: dal Requiem di Mozart all'Auditorium Verdi di Milano allo Shakespeare di Scamarcio, fino al Festival di Sanremo

… se ti commuovi ascoltando il Requiem in re minore di Wolfgang Amadeus Mozart non può essere solo l’effetto del poco sonno obbligato da un’intera settimana sanremese davanti e dietro la tv. Ora, che l’effetto disintossicante e riabilitativo dopo una settimana di brutte e belle canzoni ci fosse lo testimonia questo tweet di quel pomeriggio domenicale alla Verdi di Milano:


Marina Peroni, chi è la moglie di Sandro Giacobbe al suo fianco nella malattia/ "È la mia vita"


– Rehab quasi completo grazie a commozione da Requiem Mozart alla Verdi Mi. C’è misercordia divina per tutti, figurarsi Sanremo o Celentano…

Però resta la domanda: perché al Salva me, fons pietatis – ma in realtà lungo tutto il percorso del grande capolavoro: Dies irae, Tuba mirum, Rex tremendae, Recordare, Confutatis, Lacrimosa fino al Lux eterna finale – la commozione era irrefrenabile? Sonno arretrato, ripeto, stanchezza, visionarietà o davvero, come sostiene don Luigi Giussani, Mozart ha scritto una tale continua, potente, commovente invocazione alla Misericordia divina – così piena di certezza per il perdono – che qualsiasi poveraccio che aguzzi le orecchie non possa non sentirsi travolto? La verità è che si esce da una qualsiasi esecuzione del Requiem – anche questa della Orchestra Verdi, condotta con precisione da John Axelrod e sostanzialmente di buona fattura, fatta eccezione per il Tuba mirum – con l’idea che Mozart fosse sicuro, per quanto il Giudice sia severo e i nostri errori gravi, che per Sua misericordia siamo già salvi. All’Auditorium Cariplo della Verdi i sottotitoli in latino e italiano, utilmente sovrapposti al boccascena, permettevano di toccarlo con mano, fruendo del rapporto sublime musica-testo della partitura mozartiana. Idea semplice, ma che cambia tutto.


Com’è morto Sandro Giacobbe e malattia: il meningioma dopo il tumore alla prostata/ 10 anni di calvario


Ma può cambiar tutto in peggio se, davanti a un capolavoro come il Romeo e Giulietta di William Shakespeare una coppia di “modernizzatori” come il regista Valerio Binasco e l’adattatore del testo Fausto Paravidino lo trasformano in qualcosa di proprio, adattandolo a voglie e pulsioni farsesche che noi “vecchi”, se volete, non riusciamo davvero a digerire. Il richiamo in cartellone si chiama Riccardo Scamarcio, il bello del cinema italiano (sulla tv glissiamo, perché quest’autunno ha fatto prendere a Raiuno forse la sua più clamorosa “facciata” di pubblico e critica sulla fiction seriale) qui alla sua prima prova in palcoscenico. Lui è bello ed aitante anche sul palco, modernamente acconciato perché la storia è stata “adattata ai giorni nostri”, ma la sua voce è attorialmente debole, non convince, e il resto della compagnia è talmente forzato a involgarire continuamente i toni da rendere il tutto alla fine insopportabile. Chi scrive se l’è data a gambe – mentre il pubblico attorno era in tripudio, va riconosciuto – alla mitica scena del balcone ridotta, anche per via della Giulietta smorfiosa di Deniz Ozdogan, a una tale scenetta da bar da assassinare il testo shakespeariano oltre ogni limite.
Spettacolo pluripremiato dalla critica e dal pubblico e campione di incassi un po’ dovunque, credo sia uno di quegli incentivi alla diseducazione teatrale del pubblico che caratterizzano ormai la nostra epoca. Perché in fondo invece basterebbe un nulla, anche in un contesto così, perché tutto sia salvo: come lo splendido Mercuzio di Andrea Di Casa dimostra.


Fred De Palma e la fidanzata Jori Delli si sposano!/ La proposta di nozze alle Maldive: “Per sempre!”


Ma è la faccia del protagonista quella che fa la differenza, c’è poco da fare, e l’affermazione si adatta perfettamente anche al film Paradiso amaro – The Descendants, protagonista un altro bello universalmente apprezzato: George Clooney. 

Il primo tweet a caldo, uscito dalla sala:

– The Descendants (Paradiso amaro!?) con G. “monocorde” Clooney vedovo mi ha commosso. Shailene Woodley incantevole

Storia struggente di un marito e padre distratto improvvisamente investito dal coma irreversibile della consorte causa incidente, davvero avrebbe voluto un attore più ricco di sfumature, ma forse l’idea era proprio quella: massimi sistemi con minima espressività. Un bello e famoso alle prese con una storia di morte, tradimento coniugale e banalità. Altri in altre rubriche hanno qui già detto la loro più autorevolmente di me; io mi limito a dirvi la mia commozione sincera per una storia di dolore e responsabilità, e in fondo di simpatia verso quella cosa così complicata e bellissima che è una famiglia, e una famiglia travolta da un destino duro e difficile. Mentre aspettavo il film, poi, è passato il trailer di Intouchables – Quasi amici, film francese con Francois Cluzet in carrozzella, dedicato alla insolita amicizia fra un ricco borghese reso disabile da un incidente e uno strano badante di colore. Non so se il film sia bello o no, ma ho pensato a questa nostra cinematografia italiana adesso così distratta dagli incassi miliardari della commedia che altro non sa fare se non battere il ferro fin che è caldo. Solo commedia, sesso e risate all’italiana oggi, perché “li vuole il pubblico”. Temi diversi e più importanti, magari col sorriso e lo humour dei due film sopracitati, neanche a parlarne.

Sanremo 2012? Solo un tweet fra le decine che ho scritto lungo quelle 5 interminabili serate, quello forse più amaro, su Celentano:

– Ho la sensazione che a #sanremo2012 stiamo assistendo al tramonto di quello che è stato un grande artista italiano. Dispiacere, in fondo


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