Quando si presentarono al pubblico italiano — era all’incirca la metà degli anni Novanta — furono costretti a usare un bizzarro escamotage, almeno per far colpo sui giornalisti (che si sa, se li foraggi bene una recensione positiva non la negano mai). Insieme al loro disco ci venne infatti consegnata una confezione di tipici biscotti al cioccolato americano nonché una salsa anch’essa tipicamente americana per inzupparceli dentro. Sembrava un po’ una cosa tipo offerta del supermercato: prendi due, paghi uno. Ma quello che contava era ovviamente la musica, e quella della Dave Matthews Band era musica di serie A.
La Dave Matthews Band in qualche modo, biscotti a parte, sottolineava la sua americanità, e forse per questo in Italia non è mai esplosa a livello di successo come tante altre band di quel periodo storico, basti pensare ai Pearl Jam.
Di fatto, la DMB ha inventato uno stile così originale e unico, proprio fondendo le mille facce della musica americana, che in nel nostro Paese è sempre rimasta indigesta. Il loro sound che butta dentro folk, jazz, rock, progressive, fusion, cantautorato, New Orleans, R&B è America al cento per cento, dispiegata in un cocktail sonico che fa dell’improvvisazione la marcia in più.
Su tutto, la voce emozionante, e le liriche profonde di Dave Matthews. Buttati a torto nel calderone delle new jam band degli anni Novanta che si ispiravano alla cosmic music dei Grateful Dead (questi ragazzi degli anni Novanta erano un po’ i figli dei figli dei fiori), la DMB era ed è di più, molto di più di quello. Ma come quelle band, hanno sempre dato il meglio di sé dal vivo.
Proprio la loro potenza sonica ha messo in secondo piano le liriche del leader Dave Matthews che invece ha sempre avuto molte storie da raccontare pescando nella propria vita non esente da sofferenze e dolori. Per un certo periodo di tempo ha dovuto combattere con l’alcolismo, ad esempio, per non parlare del suicidio di membri della famiglia.
Grey Street è uno dei pezzi che meglio lo rappresenta, sia perché musicalmente è un brano straordinario, col classico groove dettato dalla sua chitarra acustica a cui fa da back up il motore irresistibile della sua band, sia per il testo. Che già nel titolo parte diretto: “Grey Street”, la strada del grigiore.
Incisa inizialmente per un disco che non venne pubblicato per dissapori con il produttore, Steve Lillywhite, che aveva prodotto anche il disco d’esordio del gruppo, viene poi inclusa nell’album “Busted Stuff” prodotto da Glen Ballard.
Di grigiore è piena questa canzone. È il grigiore di una promessa che non trova compimento, e non c’è nessuna promessa peggiore dell’adolescenza che non si compie nella sua naturale maturità.
Il soggetto è una ragazza, bloccata dentro se stessa: “Sembra sia bloccata qua da un milione di anni, ma non dice nulla di quello che pensa. Lei pensa, ma come ho fatto ad arrivare a questo punto? Ho sognato ogni notte come fanno tutti che sarei diventata una meravigliosa principessa”. L’aspettativa è quello che ci frega, tante volte, nel pretendere che il compimento della nostra esistenza sia frutto di un progetto, di qualcosa che noi pretendiamo di aver già pianificato. Mentre la musica continua il suo incessante crescendo, lei prova a pregare: “Lei prega Dio ogni notte sebbene lei giuri che Lui non ascolta, ma spera che Lui possa farlo: Io prego, ma la mia preghiera cade su orecchie sorde”.
Fuori della sua stanza, le macchine stridono nella notte, ma i colori perdono la loro forza e tutto diventa grigio. E la musica batte, picchia sempre più forte, ossessiva, si innalza guidata dalla voce di Matthews che è ora una implorazione ora una imprecazione. Dal vivo questo brano diventa una classica calvacata impetuosa nel miglior stile della DMB trovando a volte anche la strada dell’asoslo, irresistibile, di batteria. Alla fine, qualcuno, un uomo, il padre, il fidanzato le dicono di prendere il suo coraggio e tirare fuori qualcosa dai sogni perché il Cielo non ci abbandona. “Dice di essere nulla, ma nessuno lo farà per te: esci e stringi un raggio di sole, attaccati al Cielo, non ti abbandonerà”.
Secondo qualcuno, la canzone fu ispirata dalla poetessa americana Anne Sexton, che soffriva di depressione fino a togliersi la vita. Il cui vero nome era Anne Gray Harvey.
A Dave Matthews si sa, piace giocare con le parole, ad esempio trasformare “gray” in “grey” obbedendo semplicemente alla pronuncia della lingua inglese. Di scherzetti, allusioni, metafore è piena la storia del rock, perché poi le canzoni rock sono sempre stato questo, che l’autore ne fosse cosciente o no: rimando a qualcosa d’altro. In questo caso una poetessa suicida, una strada grigia, una ragzza interrotta a metà. Quella strada del grigiore che a volte fa capolino un po’ in tutti i cuori, almeno quelli più sinceri.