La torre è Jorge Luis Borges, il cavallo Marcel Duchamp, l’alfiere è Pablo Picasso, un altro cavallo Alberto Giacometti. La seconda torre bianca, infine, è Bach. Proprio dal genio di Eisenach occorre partire nel ripensare alla mostra padovana appena conclusa “Scacchi per San Rocco”, nella quale lo scultore Alfredo Truttero ha dato nuova vita e fisionomia ai pezzi del gioco degli scacchi. Bach è l’unico musicista in mezzo a tanti maestri delle arti figurative, sentiti dall’artista evidentemente come padri della propria storia creativa, accanto a Cesare e Annamaria, il padre e la madre di Alfredo raffigurati come re e regina. Perché Bach? Perché è l’uomo che ogni settimana componeva una cantata sublime per la Thomaskirche di Lipsia. Capolavori assoluti elargiti con la stessa normalità con cui il pastore, la domenica, presiedeva il rito di fronte ai buoni fedeli della parrocchia.
Ripercorrere la cinquantina di pezzi esposti nello stupendo oratorio di San Rocco affrescato dal Campagnola, da Girolamo dal Santo, Gualtiero Padovano e Stefano Dall’Arzere, significa quindi soprattutto poter prendere atto di un metodo, di un modus operandi attento agli input della realtà, a partire dai più casuali, come la frase buttata lì dalla moglie Silvia – “Ma perché non fai degli scacchi?” – che sta all’origine di tre anni di lavoro artistico. Seguire la mostra significa così cogliere ogni fase di una produzione dal passo paziente e sicuro. Si parte con le Fisionomie – l’Apollineo, il Romano, il Pensoso – finché una di queste, l’Inchiodato (uno scacco con un lungo chiodo che ne trapassa una spalla), porta lo scultore padovano a un punto drammatico che impone una svolta. Nascono allora i Cloches, sempre in terracotta, nelle quali si affina la ricerca di una fisionomia ben delineata con il Vecchio, il Clown e lo Stupito. Improvvisamente, con uno scarto forse atteso ma difficilmente immaginabile, le figure prendono slancio, colore e ulteriore personalità, ed è la volta dei Prototipi, tra i quali si segnala un’elegante e possente Africa.
È giunto il momento di pensare ai pezzi veri e propri. È la volta degli scacchi rossi, divisi in tre sezioni. Nella base classicamente tornita e uguale per tutti si innesta un busto slanciato con lievi variazioni da un pezzo all’altro e, inaspettata, una testa che rappresenta la fioritura, diversa caso per caso, dei primi due stadi. Nascono così, a coppie, le torri Cinica e Stupita, gli alfieri Scettico e Positivo, i cavalli Furbo e Ingenuo… Finché, con i pezzi bianchi, dallo studio del carattere si passa, con un ulteriore scarto, all’incontro con la persona, con tutti gli “auctores” di cui si è detto all’inizio, dalla torre Bach all’autore stesso raffigurato come alfiere di un modo di operare non provocatorio ma suggestivo.
Ecco quindi un artista che non si vergogna di essere anche artigiano: anzi, bachianamente di essere artista perché artigiano. «Il mio lavoro», racconta Truttero nel catalogo, «si sviluppa in modo artigianale e pratico con creta e terracotta. Non è un lavoro solo mentale e progettuale (nel senso Albertiano del termine). Parto dal buttare la creta secca nella vasca, poi la asciugo nel gesso e la rimischio. Faccio un prototipo in creta e ne ricavo un calco in gesso negativo. Poi faccio aderire uno strato di creta plastica al negativo rigido ottenendo la forma positiva che poi rifinisco e liscio a poco a poco ricostituendo la forma».
Un lavoro che per sua natura è sempre in attesa di nuovi suggerimenti, di altre prospettive. Ecco che, come già nella mostra viene discretamente suggerito, dagli scacchi nascono i busti, che ormai chiedono di prendere congedo dalle sessantaquattro caselle, lasciando intuire l’aprirsi di nuovi orizzonti. Si apriranno, con la pazienza del tempo. Perché è vero che le teste dei pezzi nascono sempre impreviste (Giuseppe Frangi nel catalogo parla di creature beffarde e molto dadaiste, di “imprevisto” e “nuova soggettività delle pedine”), ma non occorre mai dimenticare che ciò avviene sulle radici di un fusto sempre uguale a se stesso e nelle impercettibili mutazioni di un tronco-busto che si lascia appena accarezzare dal vento.
(Eugenio Andreatta)