SIGUR ROS/ “Kveikur”: la svolta pop della band islandese?

- Raffaele Concollato

Con “Kveikur” il gruppo islandese sembra approcciare una svolta pop, ma in realtà le cose sono ben diverse. Ecco la recensioen del nuovo disco dei Sigur Ros di RAFFAELE CONCOLLATO

Sigur_R439 Sigur Ros

Diversamente da quello a cui ci avevano abituato negli ultimi anni i Sigur Ros, a distanza di poco più di un anno, 

Escono con il loro settimo lavoro da studio. Per il precedente “Valtari” c’erano voluti quattro anni, passati attraverso i vari progetti solisti e i tentennamenti che avevano fatto presagire il peggio. L’abbandono di Kjartan Sveinsson, tastierista e storica mente che insieme a Jonsi  avevane forgiato il sound diventato marchio di fabbrica dell’ex-quartetto, le speranze erano ridotte ad un lumicino. A dispetto di quelli che poi sono state solo illazioni ora ci ritroviamo con tra le mani “Kveikur”. Il significato molteplice (stoppino della candela / miccia di una bomba) può essere letto come “nuovo inizio” da parte dei tre superstiti.

Il cambio di rotta si sente e dove “Valtari” richiamava i primi lavori “Kveikur” va oltre, ridefinendo nuovi e coraggiosi confini al sound della band. Le caratteristiche sono sempre le stesse: chitarre riverberate, epicità che innalza sempre la soglia emotiva di ogni singolo brano e la conduzione dalla voce di cristallo di Jonsi.

Quello che esce prevalentemente da questo disco è l’attenzione alla melodia che volendola generalizzare, la si potrebbe definire pop, termine però da contestualizzare. Molti brani sono orecchiabili fin dal primo ascolto e spesso sembra quasi sparito tutto quello che poteva apparire ‘ambient’ . Il confronto con il lavoro precedente è straordinario, sembra un’altra band. Ma forse lo è.

I brani, ancora in islandese, partono dal primo singolo “Brennestein”, già sentita anche live nell’ultimo passaggio in Italia che traccia subito i confini del nuovo corso: molta elettronica aiuta a sovrapporre la voce di Jonsi, distorta e amplificata gli altri strumenti sono a contorno della tempesta sonora in corso. Una sognante “Hrafntinna” lascia il posto al brano più accattivante del disco: Isjaiki (iceberg). Il suono è un rimando ai fasti pop della celebre “Hoppipolla”. La melodia rimane in mente immediatamente e si viene trasportati dalla voce di Jonsi leggeri nell’aria, sembra di volare sopra gli iceberg seguendo le gelide correnti del nord e quando i riff distorti irrompono di tanto in tanto ci fanno planare sul tappeto di xilofono finale che ci riporta a terra. L’elettronica torna padrona in “Yfirbord”, un episodio quasi secondario rispetto al brano precedente. Le seguenti  “Stormur” e la title track “Kveikur” sono evocative fin dall’inizio e trasportano in un intricato mondo sonoro fatto di riverberi e suoni sincopati che rapiscono il cuore come l’esplosione di un geyser che sputa energia per pochi minuti per poi placarsi e tornare a ribollire sottoterra. 

“Rafstaumur” attacca veloce e riesce ad aprirsi un deciso varco nel muro del suono che finora si è limitato a fare da sfondo ai brani. Vero post-rock deciso, suonato veramente e senza mezzi termini. Ancora “Bláþráður” propone un power trio diretto e immediato, solo un accenno di tranquillità a fine pezzo per fare spazio alla finale “Var” che definitivamente farà emozionare per la sua semplice ed emozionante melodia , un pò come la più nota “Sæglópur”. Erano diversi anni che i Sigur Ros non riuscivano a produrre un brano così toccante e semplice. 

L’incontro tra la necessità pratica di avere un elemento in meno e quindi proporsi in modo più semplice e il voler continuare ad espandere i confini del post-rock ha prodotto un album dai diversi aspetti: epico, emozionante, noise e che riesce ad essere originale e fruibile anche da chi non conosce la band. Le nuove dinamiche del gruppo hanno portato ad allargare lo spettro, già ampio, dei colori a loro disposizione. Quindi godiamoci l’arcobaleno, cosa che in Islanda non manca mai.





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