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Home » Sanremo » Canzoni: testi e analisi » Analisi/ Il testo di ‘Il cielo è vuoto’ di Cristiano De Andrè, seconda canzone del Festival di Sanremo 2014

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Analisi/ Il testo di ‘Il cielo è vuoto’ di Cristiano De Andrè, seconda canzone del Festival di Sanremo 2014

Analisi del testo di ‘Il cielo è vuoto’, la canzone Cristiano De Andrè, figlio del celebre Fabrizio, in gara tra i Big al Festival di Sanremo 2014. A cura di GIOVANNI FIGHERA 

Giovanni Fighera
Pubblicato 18 Febbraio 2014
cristiano_de_andre

Cristiano De André

A Sanremo 2014, oltre che la canzone «Invisibili», Cristiano De André presenterà anche «Il cielo è vuoto», dal testo ricco di suggestioni simboliche e rivelatore di una percezione esistenziale tipica della modernità. Come non ricordarsi che ormai più di cento anni fa Pirandello scriveva dello strappo nel cielo di carta ne Il fu Mattia Pascal, allorché Anselmo Paleari raccontava del teatro di marionette. Oreste, grande eroe dell’antichità, vedendo il cielo strappato, diveniva inerte, si trasformava in Amleto. De André non sta certo alludendo al celebre episodio citato, ma senz’altro le sue immagini risentono di un humus culturale da cui da tempo l’uomo si nutre, di cui si imbeve come per osmosi.


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Nel cielo compare solo il sole che da sempre è simbolo della verità, della divinità che dà vita, addirittura del Cristo nella tradizione cristiana. Qui, il sole «acceca e fa esplodere il grano», infonde sulla Terra quel calore che fa crescere le sementi. Con efficace passaggio analogico, se in Terra cresce il grano grazie al calore proveniente dall’alto, il cielo dovrebbe essere seminato dei sogni degli uomini e diventare così un campo dove crescono i nostri sogni. Il cielo diventerà così «un mantice […], una strana officina» «di quello che faremo». Sentiamo direttamente questa prima parte: «Il cielo è vuoto, c’è soltanto il sole/ Che acceca la terra e fa esplodere il grano/ E noi che intanto bruciamo/ Il cielo è vuoto perché aspetta il seme/ Dei nostri sogni e di quello che faremo/ Di quello che faremo/ È un mantice il cielo è una strana officina».


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Nella seconda parte compaiono due termini che tanto piacciono alla poesia decadente: «Dio» e «anima». «Dio […] si dimentica di fare tutto il suo lavoro», ma, potremmo invece, aggiungere noi, citando un famoso film, «Dio ha bisogno degli uomini», ha voluto rendere compartecipi noi della sua grandiosa opera della creazione e della salvezza, perché nella nostra anima c’è tutto l’universo, siamo un microcosmo specchio del più grande macrocosmo che è l’universo. E nella nostra storia della salvezza è riprodotta in piccolo, come in uno specchio, la più grande storia della salvezza dell’umanità. «Illuminato dai lampi» del cielo che sono l’unico sereno che riesce a concepire, il narratore si aspetta molto dalla vita e non può accettare meno di quello che si aspetta dal suo interlocutore.


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A chi si rivolge il testo? Finora si è parlato soltanto di Cielo e Terra, di sole e seme. Ora, sembra essere introdotta la figura di una donna amata, il tu dialogico di tutto il testo, colei che forse ha la capacità di riempire la vita dell’uomo e di far realizzare i suoi sogni. Ecco la seconda parte che si ripeterà identica più tardi, come ritornello della canzone: «È Dio che si dimentica di fare tutto il suo lavoro/ Si stacca l’anima non fa più rumore/ Puoi chiudere gli occhi ma non puoi più morire/ E me ne frego di quale luce sei illuminata/ Io sono illuminato dai lampi che sono tutto il mio sereno/ Non posso accettare niente di meno di quello che/ Di quello che mi aspetto da te/Ed io mi aspetto molto da te».

Nella terza parte  il cielo vuoto è riempito solo dal respiro, come «un miraggio per prenderci in giro». Il cielo diventa un limite, un segreto, un tesoro, che l’animo umano desidera varcare, come Leopardi nell’«Infinito» di fronte alla siepe. La nostra immaginazione ha bisogno di spazi più grandi e naviga nello spazio. Abbiamo tutti bisogno dell’infinito, dell’immenso, dell’eterno. Il problema della vita è proprio quello di poter incontrare nelle nostre giornate quest’eterno. La questione è avere un interlocutore a cui poter chiedere tutto, da cui attendere il compimento del nostro cuore.

La canzone si conclude così: «Non posso accettare niente di meno di quello che/ Di quello che mi aspetto da te/ Ed io mi aspetto molto da te/Io mi aspetto molto da te/ Io mi aspetto molto da te». Che bello attendersi molto dalla persona che amiamo! Quanto è saggio e realista comprendere che l’attesa che noi ci attendiamo dalla nostra vita, il compimento del nostro desiderio di felicità non potrà giungere senz’altro da chi ci è compagno nel cammino, ma solo da quel che Cielo che, se è vuoto, è solo perché Colui che l’ha creato si è fatto nostro compagno qui sulla Terra.

Tags: Cristiano De AndrÉ

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