“Alcune canzoni sono incise nelle nostre anime”. E’ l’ultimo verso della canzone “Certain Songs” degli “The Hold Steady” che Craig Finn canta in chiusura del suo stratosferico miniset acustico di una 40-ina di minuti: talento puro di songwriter e storyteller per l’opener di lusso del concerto di Brian Fallon alla Santeria Social Club di Milano, uno dei locali in questo momento più interessanti per la live music milanese. Unica data quella di Fallon e Finn, portati in Italia alla Barley Arts, sempre in prima linea quando si tratta di musica di qualità.
Noi Craig lo aspettiamo già in Italia per un’altra data tutta sua per graffiarci ancora l’anima, magari in elettrico con i suoi “The Hold Steady”, dimensione a lui più consona da “fake punk” quale è…. “Se non hai mai visto i Black flags non sei un vero punk, sei un fake punk – dice con grande autoironia ad un certo punto del suo minishow – …ed io non ho mai visto i Black flags dal vivo. Quindi sono un fake punk… I’m a fake-punk… really…”.
La naturale empatia che Craig stabilisce da subito con il pubblico italiano è la migliore introduzione al concerto di Brian Fallon da Red Bank, New Jersey, leader dei Gaslight Anthem. Concerto esaurito da 2 mesi.
C’è attesa per lo show acustico di quello che potrebbe essere l’ennesimo artista ridimensionato nei fatti da una vicinanza geografica e musicale con il troppo ingombrante Bruce Springsteen. Ma Brian ha stoffa, non è uno stupido e cita tanti amici tra cui Ryan Bingham, Eddie Vedder, canta Tom Petty, ma non fa mai riferimento a Springsteen. Sembra sapere che gran parte del suo pubblico italiano presente alla Santeria è lo stesso pubblico che segue Springsteen e lui non cade nel tranello emotivo e piacione di sfruttare la scia di Bruce.
Ha personalità. Gli piace sparigliare le carte. “Ogni sera una scaletta diversa” dice spostando il barre fisso in una inedita posizione della chitarra dopo 4 pezzi. Ad un certo punto parla dei figli di 6 e 3 anni. Spassosissimo e simpaticissimo. E poi dice “I miei figli con la prossima canzone non centrano nulla… ma mi sono rotto le palle di ripetere tutte le sere sempre le stesse cose. Non sono quel tipo. Quindi stasera vi racconterò cose che non c’entrano niente con le canzoni che suonerò. Dirò quello che mi viene in mente…“.
E’ un artista vero Brian Fallon ed ottimo autore. Si accompagna con la chitarra acustica e con il pianoforte, suonando una quindicina di canzoni: pezzi tratti dai suoi dischi solisti, dai dischi dei Gaslight Anthem, un paio di cover ed un paio di pezzi dei “Molly and the Zombies” altra band di cui fa parte Brian Fallon dal 2013.
Una voce al confine tra il rock ed il punk, usata senza un criterio chiaro, da ribelle quale è: alcune strofe o parte di strofa nel registro basso, altre strofe sferzate a colpi di gola un’ottava sopra… i puristi potrebbero storcere il naso ma è il suo stile. Un buon fingerpicking ed una buona padronanza del pianoforte gli permettono di dare evidenza del valore delle sue canzoni e dei testi.
Di canzoni gliene bastano poche per capire che il pubblico italiano è il pubblico migliore del mondo. “Le persone ai miei concerti sono “great”! Ma voi Italiani… cazzo, voi siete COOL! Non ci credevo quando alcuni artisti che hanno suonato in Italia me l’hanno detto… ma cazzo! Voi siete davvero cool! Tra gli altri me l’ha detto Eddie Vedder… ed io gli ho chiesto: ‘Cos’ha di così speciale il pubblico italiano?’ sapete cosa mi ha risposto: ‘They… listen!’ (loro… ascoltano)… Ed allora questa è solo per voi…. fatemi solo provare gli accordi… un attimo… ok ce l’ho…. giuro che non l’ho mai fatta prima… è solo per voi…” ed attacca una stupenda versione al piano di “The ’59 sound”, la canzone più famosa dei Gaslight Anthem, dedicata ad un amico morto un Sabato sera mentre la band stava suonando da qualche parte, testo pieno di significati nascosti. Sicuramente il momento più alto del concerto con il pubblico che si diverte a fare il cantato principale (“Ain’t supposed to die on a Saturday night”) mentre Brian fa il controcanto, evidentemente stupito dalla reattività dell’audience. Applausi per il pubblico da parte di Fallon a fine canzone.
Ancora bellissime “Among Other Foolish things”, “If I had a boat” (Lyle Lovett cover) e la versione Acustica di “Forget me not”, introdotta da un racconto divertentissimo tra il nonsense ed il realistico del motivo che lo ha portato a scrivere la canzone… tifo calcistico? …relazioni familiari? …difficile capire dove sia la verità. Ma una cosa è certa, il ragazzo è tosto ed ha talento come autore e come entertainer.
Circa 1 ora e 40 minuti per uno di quei concerti che vorresti non finissero mai ma che sai che basterebbe poco per rovinarlo o buttarlo in vacca, soprattutto quando il pubblico insiste per un ultimo pezzo… ma Brian non cede alle lusinghe. Lo show è finito con l’ultima struggente “Blue jeans and white T-Shirts” ancora pescata dal repertorio dei Gaslight:
“Still we sing with our heroes, 33 rounds per minute
We’re never going home until the sun says we’re finished
I’ll love you forever if I ever love at all
With wild hearts, blue jeans, & white t-shirts”
E’ domenica sera ed il sole è tramontato da un pezzo nel cielo invernale della circonvallazione milanese su cui si affaccia la Santeria. Ci aspetta una settimana di lavoro. Saluto frettolosamente i tanti amici tra cui anche quei musicisti che come me sono venuti un po’ a divertisti un po’ ad imparare come si sta sul palco. Riascolto la versione full band di “The ’59 sound” rientrando a casa e quando è il momento del ritornello, quello che il pubblico cantava con Brian Fallon, penso che una domenica sera così ti fa risuscitare.
(Francesco D’Acri)