Proseguono le trattative sul piano Trump per chiudere la guerra a Gaza. L’Incognita Netanyahu: liberati gli ostaggi continuerà la guerra?

I punti da chiarire sono ancora molti: il cessate il fuoco per riunire gli ostaggi da liberare, il disarmo, il ritiro dell’IDF, la gestione di Gaza nella fase della ripresa. E nonostante certe dimostrazioni di buona volontà raggiungere un accordo non sarà facile. Può darsi che si arrivi comunque a un’intesa, viste le pressioni esercitate da Trump, ma anche da Qatar, Egitto e Turchia.



Il punto vero, tuttavia, racconta Camille Eid, giornalista libanese residente in Italia, collaboratore di Avvenire, è che non si sa se Netanyahu sia disposto ad accettare non solo la liberazione degli ostaggi, ma anche il resto del piano presentato dal presidente americano. Molti analisti temono che sia tentato di ricominciare la guerra una volta ottenuta la restituzione dei vivi e dei morti israeliani (48 ostaggi in tutto) ancora nelle mani di Hamas.



Hamas dice che è disposta a disarmare ma che non vuole un dopoguerra a Gaza guidato da Tony Blair. Qual è il motivo di questa richiesta?

Un portavoce di Hamas, Fawzi Barhum, ha detto che Hamas è disponibile a lasciare il Gaza a un governo di tecnici, ma mette in discussione la presenza straniera nell’organismo che gestirà il dopoguerra: non vuole il controllo internazionale. Anche il disarmo potrebbe essere supervisionato, ma da Paesi arabi; nei giorni scorsi, invece, Israele aveva chiesto di essere presente al disarmo di Hamas. Nell’accordo, però, ci sono altri punti critici.

Quali?



Lo scambio degli ostaggi, per esempio, può avvenire soltanto in un determinato contesto, mentre Israele anche in queste ore ha continuato a cannoneggiare a Gaza. In queste condizioni è difficile riunirli per poi liberarli. Da parte palestinese si chiedono garanzie internazionali sulla fine effettiva della guerra: tutti gli analisti dicono di fare attenzione, perché Netanyahu vorrebbe fermarsi alla prima fase del piano e trovare una scusa per riprendere la guerra. Una volta liberati gli ostaggi vorrebbe proseguire il conflitto. Bisognerà vedere se la vicenda verrà gestita da Trump o dallo stesso Netanyahu.

Uno dei tanti punti da chiarire è cosa diventerà la Palestina. C’è qualche indicazione nel piano americano?

Bombardamento aereo israeliano nel settore ovest di Gaza City (Ansa)

Il piano Trump non parla di Stato palestinese e Netanyahu fino a che sarà in vita non accetterà mai che possa nascere. Inoltre si parla di un possibile ruolo dell’ANP nella gestione del dopoguerra, ma solo quando sarà riformata, senza spiegare tuttavia cosa significa in questo caso riformare l’Autorità nazionale palestinese. Tutti questi dettagli fanno capire che passeranno diversi giorni prima di arrivare a un accordo.

Gli americani, comunque, sembrano aver cambiato posizione rispetto a qualche settimana fa. Come si spiega?

Un sondaggio di un istituto americano dice che il 56% degli statunitensi sono favorevoli al piano di Trump. Non solo, il 69% degli americani è d’accordo, sul lungo periodo, con la soluzione dei due Stati. Una cosa del genere negli USA finora non si era mai vista. Ormai sono i palestinesi a riscuotere i favori delle fasce giovanili. Il piano di Trump finisce per salvare Israele: se continuerà la guerra sarà perdente a livello internazionale, più isolato, anche se dovesse ottenere risultati dal punto di vista militare.

Hamas ha anche chiesto il ritiro completo dell’IDF appena sarà liberato l’ultimo ostaggio. Anche questo potrebbe essere un ostacolo all’intesa?

Quello che Hamas vuole è una tabella di marcia, un calendario del ritiro, non indicazioni oscure e vaghe. Comunque, anche la CNN parlava della necessità di diversi giorni di trattative: queste non sono cose che si definiscono da un giorno all’altro.

Alla fine, quante speranze possiamo avere che stavolta si vada fino in fondo nelle trattative?

Difficile dirlo. Al negoziato, però, sono presenti tutti i Paesi che fanno pressing su Hamas, non solo l’Egitto e il Qatar, ma anche la Turchia: ce la stanno mettendo tutta per arrivare a un risultato positivo. Il punto rimane l’applicazione integrale del piano, senza fermarsi alla prima fase. La preoccupazione non deve essere solo in funzione della liberazione degli ostaggi. Israele non ha ancora negato che il suo obiettivo sia la distruzione di Hamas. Anche l’attacco all’Iran è partito quando erano ancora in corso trattative in Oman. Israele continua a fare morti nella Striscia, sostenendo che si tratta di operazioni difensive: anche ieri i cannoni hanno continuato a sparare.

La questione palestinese è talmente complessa che per definire tutto i negoziati probabilmente dovranno proseguire a lungo, ma possiamo aspettarci in tempi relativamente brevi almeno un accordo parziale?

Le armi la fanno ancora da padrone, vengono usate come mezzo per fare pressione, ma il clima non è del tutto favorevole alla trattative, non c’è una rinuncia completa alle ostilità. Eppure Trump ha detto basta. Ora dovrà garantire anche che Israele rispetti un eventuale accordo: si gioca la faccia. I palestinesi, comunque, non sono stati consultati per la stesura del piano ed è difficile imporre qualcosa a chi non è stato neanche sentito. Da qui a lunedì, comunque, tutto dovrebbe essere più chiaro.

A parte le trattative passate ci sono altri motivi per credere che Netanyahu possa cedere alla tentazione di non rispettare l’accordo, se non nella prima fase?

Se c’è un piano va rispettato in toto. Netanyahu non può attenersi solo a una parte. In questi giorni, intanto, i leader dell’estrema destra sembrano rimasti defilati, non si sono fatti sentire più di tanto. Occorrono garanzie che la guerra non proseguirà. Trump dice che tutte le parti sono d’accordo nel mettere fine alla guerra, ma non ho sentito gli israeliani dire questo. Non vorrei che si limitino a mettere fine alle operazioni militari adesso per poi riprenderle.

(Paolo Rossetti)

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