Lo scandalo Parmalat, che sembrava essere stato anche la più grossa truffa finanziaria ai danni dei risparmiatori in Italia, sta in questi giorni perdendo il primato, in termini di valori e di persone coinvolte. A suo tempo, almeno, la Magistratura era intervenuta con arresti e con indagini volte ad accertare le responsabilità e a mitigare, se possibile, le conseguenze. Oggi, invece, il primo e più urgente provvedimento è la copertura del problema. Oltre 100mila investitori e soci delle banche Etruria, CariChieti, CariFe e Marche sono stati direttamente colpiti dal provvedimento del Governo che ha anticipato il cosiddetto “bail in” europeo, azzerando il valore delle obbligazioni e delle azioni da loro acquistate in buona fede negli anni.
Il decreto in corso di conversione dispone anche un intervento speciale di tutto il sistema bancario che anticiperà alcuni miliardi di euro, in diverse modalità, e si farà carico di iscrivere perdite nei bilanci 2015, così sottraendo risorse ulteriori all’economia. E come intervento pubblico si fa anche ricorso alla Cassa depositi e prestiti che, grazie alla raccolta del risparmio postale, potrà rilasciare una garanzia agli investitori istituzionali che riacquisteranno, a prezzi stracciatissimi, i crediti.
Il provvedimento è stato strutturato per evitare che venga considerato aiuto di stato dalla Commissione europea ed e stato assunto prima che dal 2016 si ricadesse sotto la scure del meccanismo di risoluzione delle crisi, con effetti diversi sulle varie tipologie di finanziatori: apparentemente risultano ora meglio tutelate le altre banche che hanno comunque in pancia obbligazioni non garantite. Ma i piccoli investitori, clienti delle quattro banche, avevano comprato obbligazioni sulla base delle informazioni loro fornite – sicuramente rassicuranti – molto prima che l’Italia aderisse al meccanismo europeo di risoluzione (sic!) delle crisi bancarie.
E la Consob solo recentemente – i buoi scappano sempre prima – ha sollecitato gli intermediari a informare adeguatamente la clientela, almeno per i prossimi acquisti: e per quelli del passato? E in particolare per la quotata Banca Etruria, che informazioni aveva fornito ai soci e ai clienti? E Banca d’Italia, incaricata ora di gestire il “risanamento” delle quattro banche, a cui si aggiungerà la Tercas parcheggiata presso la Popolare di Bari, cos’ha fatto nel passato? Sicuramente i circa 80 miliardi di crediti in sofferenza – spazzatura?- velocemente messi sotto il tappeto sono il risultato di anni di gestione “prudente” garantita per legge proprio dall’organismo di via Nazionale.
Ricostruire la storia delle concessioni, probabilmente allegre, di credito negli anni passati forse ci porterebbe fino ai tempi del Governatore Draghi, e coinvolgerebbe troppi nomi importanti. A loro i risparmiatori dovrebbero chiedere quali controlli, verifiche, ispezioni e istruzioni fossero state attivate dagli organi di vigilanza. E i bilanci delle banche chi li leggeva? Chi li controllava?
Il risparmiatore, viene detto, doveva ben diffidare dall’interesse nominale che denotava un più alto profilo di rischio. Anzi, forse, prima di depositare allo sportello i suoi sudati risparmi, doveva conseguire una laurea in Economia e una seconda in Diritto.
Banca d’ Italia è oggi una società privata – così ha deciso il parlamento, per sottrarla al controllo pubblico – e aveva la responsabilità di controllare e vigilare le banche quale tutore del risparmio, garantito dalla Costituzione. Risulta palese che ha fallito, ha sbagliato, ha tradito la pubblica fede – qualcuno accerti se per dolo o meno dei suoi organi -: è responsabile verso i risparmiatori defraudati e verso il sistema bancario.
A seguito della legge di riforma, il suo patrimonio è aggredibile da parte dei creditori. Ma pare improbabile che Intesa e Unicredit, pesantemente coinvolte, si attiveranno verso il controllore. Allora fioriranno centomila cause risarcitorie? Ci saranno centinaia di imputati per processi fallimentari? Qualcuno pagherà?