Angelo e Domenico. Due nomi importanti nella storia del cristianesimo e nella tradizione popolare, ma anche due nomi caduti in disuso, poco utilizzati nella scelta dei genitori di oggi. Per la precisione, uno si chiamerà Angelo Federico e l’altro Domenico Matteo. Due fratellini che non sono come gli altri, perché morti – probabilmente lasciati morire: lo dirà il tribunale – appena nati, lontani da qualsiasi sguardo che non fosse quello della madre.
Anche lei, non una mamma come tante. Chiara Petrolini li aveva seppelliti nel giardino di casa a Vignale di Traversetolo, nel parmense, senza (pare) dire niente a nessuno, nemmeno al fidanzato Samuel. Anzi, sembra (ma qui i dubbi sono per forza più forti) che persino delle due gravidanze siano stati tenuti tutti all’oscuro, dentro e fuori casa. Poi il ritrovamento dei due cadaverini da parte dei Carabinieri, le indagini, il carcere dal quale la ventunenne è uscita l’altro ieri dopo qualche mese, in attesa del processo. È tornata proprio “sul luogo del delitto”, verrebbe da dire, e ha dato il consenso al padre dei suoi figli, ormai ex fidanzato, di procedere davanti al tribunale di Parma al fine di dare loro un nome (e il cognome del padre) per poi procedere col funerale.
“La realtà supera la fantasia” diceva il mio maestro di giornalismo e aveva ragione. Immaginare un “secondo tempo” di questo genere, dopo il “primo tempo” dell’infanticidio e del ritrovamento, travalica la normale capacità della mente umana. Più ancora per il finale (iter giudiziario a parte) che abbiamo sintetizzato. Al momento non conosciamo l’esatta volontà dei genitori, se cioè Angelo e Domenico avranno un funerale religioso o laico. Di certo, però, il fatto di volerne riconoscere la genitorialità indica il desiderio di rimediare, in qualche modo, a quanto accaduto, di dare dignità a quei poveri corpi innocenti, di perpetuarne la memoria attraverso una sepoltura che indichi anche un luogo dove fermarsi a pregare, a portare un fiore, anche solo a ricordare che quanto accaduto non può essere fantasia, ma realtà. Perché dimenticare la carne della propria carne e il sangue del proprio sangue non si può né si deve. Fosse pure dietro le sbarre di un carcere.
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