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Home » Energia e ambiente » NUCLEARE/ Per chi vince (e perde) il 25 settembre: 3 cose da fare, 2 errori da evitare

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NUCLEARE/ Per chi vince (e perde) il 25 settembre: 3 cose da fare, 2 errori da evitare

Marco Ricotti
Pubblicato 2 Agosto 2022 - Aggiornato alle ore 06:44
In aula al Senato (LaPresse)

In aula al Senato (LaPresse)

I partiti devono mettersi d'accordo sul ritorno al nucleare dell'Italia ed elaborare una strategia per i prossimi 10 anni. Alcuni suggerimenti

Ambiente ed energia. Avviso ai naviganti: ci sono le elezioni, potremmo sentirne delle belle.

Oppure no. Già, perché potrebbe essere un rischio promettere cose che poi non si riusciranno a mantenere e osteggiare cose che poi potrebbero risultare indispensabili (ricordate il Tap?).

Siamo in piena corsa elettorale, e in tempo feriale per giunta. Tempo che si congiunge ad un periodo molto critico e turbolento per tutta l’Europa. Tra le altre cose, abbiamo scoperto il “trilemma energetico”. Ci siamo accorti che le scelte sull’energia devono contemporaneamente: i) contrastare il riscaldamento globale, un dovere verso il Pianeta e le generazioni future che non può essere sospeso neanche da una guerra, ii) ridurre la dipendenza energetica e strategica dall’estero, e infine iii) limitare i costi e sostenere la ripresa economica.


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In questo panorama, difficilmente qualcuno con un minimo di competenza e pudore si lancerà in proclami apodittici e sentenze senza appello, come invece accaduto nel recente passato (basta scorrere qualche tweet di personaggi importanti di alcuni mesi fa).

C’è il rischio, invece, che i partiti non dicano nulla di chiaro e circostanziato in proposito, se non i soliti slogan.


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Sì, perché in tema di ambiente ed energia sarebbe invece fondamentale sapere cosa vogliano fare, come e perché: ad esempio in tema di rigassificatori (una regione li vuole, un’altra no – ma sono governate dallo stesso partito), di trivellazioni (da anni abbiamo rinunciato ad estrarre gas in Adriatico, lasciandolo fare ai nostri dirimpettai croati), di termovalorizzatori (si citano tecnologie differenti dalle attuali, ma solo per sviare il problema), di cinghiali (ormai nella Capitale causano pure morti sulle strade, ma sembra che le loro vite siano più importanti di quelle umane), di rinnovabili (si finanzia l’eolico off-shore italico tre volte quello inglese, si pensa di incentivare o addirittura obbligare il fotovoltaico sui tetti, sull’onda lunga del programma REPowerEU, nonostante costi da 5 a 10 volte di più di quello a terra), di nucleare (diavolo per alcuni, santo subito per altri).


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Come Sherlock Holmes, armiamoci di pazienza e di lente di ingrandimento e prepariamoci a scovare le dovute informazioni tra un tweet, un blog e una diretta Facebook.

Ma passato il 25 settembre, cosa sarebbe opportuno fare?

Una cosa, la più importante. Avere il coraggio di dire che su alcune scelte strategiche per il Paese è necessario raggiungere una posizione condivisa. E farlo.

D’altronde, abbiamo ormai capito che ambiente ed energia sono temi strategici tanto quanto la politica estera. Non sarebbe difficile trovare anche per essi un punto di equilibrio, su azioni che – lo sappiamo bene – al di là delle ideologie e dei pregiudizi, debbono essere fatte. Ma per questo, alla politica serve una mezza rivoluzione culturale: siamo pronti?


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Servono strategie e scelte tecnologiche, debitamente supportate da analisi tecnico-scientifiche ed economiche serie ma soprattutto complete, che evidenzino tutti i costi di sistema e gli impatti su economia e società. Queste scelte richiedono tempi lunghi per la loro completa realizzazione: il decennio è il periodo caratteristico. Tempi che giocoforza coinvolgono più governi. La condivisione è indispensabile, per evitare la sindrome di Penelope: disfare col governo successivo quello che il precedente ha costruito.

Serve anche iniziare a ragionare, pianificare e agire avendo l’Europa e non solo l’Italia quale punto di prospettiva. Certo a causa delle criticità: l’esagerata dipendenza dal gas russo di Germania e Italia mette in pericolo non solo le due nazioni ma l’intero sistema economico europeo. Ma anche per le opportunità e l’efficacia che un’azione di più ampio respiro può offrire.


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Nel caso specifico del nucleare: occorre riconsiderarlo per il ruolo che effettivamente sta già svolgendo e che potrà rappresentare, nell’affrontare il trilemma. Quasi metà dell’elettricità carbon-free europea è prodotta col nucleare. Con essa non dipendiamo da altri, la tecnologia e la capacità realizzativa sono completamente europee. La ricaduta economica di un investimento in tale fonte insiste pressoché interamente nel continente.

Occorre trattarlo alla stregua di tutte le altre fonti energetiche che non emettono gas a effetto serra. In fondo, è proprio per questo che sussidiamo (lautamente) le rinnovabili. Perché allora trattare diversamente una fonte che non emette CO2 e anzi non costringe agli stessi impegnativi costi di sistema, vale a dire lo sviluppo di una doppia rete elettrica (in corrente alternata, ma pure in corrente continua) e la realizzazione di imponenti sistemi di accumulo, risultando infine meno dipendente dall’estero delle rinnovabili (si veda in proposito il rapporto 2022 della Commissione europea su EU strategic dependencies and capacities: second stage of in-depth reviews).


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La conferma della proposta della Commissione di includere il nucleare nella tassonomia verde dovrebbe ulteriormente rafforzare la scelta di una policy che estenda il sussidio anche all’atomo. Chi si stracciasse le vesti per questo, dovrebbe spiegare anche il perché della scelta schizofrenica della Germania, che incrementa il consumo di lignite e tiene spente 12 centrali nucleari a emissioni zero. E nel frattempo chiede la solidarietà sul gas.

Una politica europea sul nucleare, condivisa dalle nazioni che lo vogliono (non sono poche) e riconosciuta e supportata dalla Ue, dev’essere basata su tre pilastri: estensione di vita delle centrali attualmente in funzione, sviluppo di nuove tecnologie per la fissione (dalla profonda revisione dei progetti dei reattori di III Generazione ai piccoli reattori modulari, sino alla IV Generazione), impegno per la futura tecnologia a fusione.

In questo quadro l’Italia potrebbe fare la sua parte, collaborando con le proprie imprese, università e centri di ricerca, su tutti e tre i versanti. Preparandosi in Europa per traguardare l’obiettivo di riportare la tecnologia in Italia, entro un decennio. Ma ottenendo da subito risultati utili per il Paese, i consumatori e le aziende: non solo per il coinvolgimento delle imprese ma anche per il possibile incremento di import di elettricità nucleare, derivante dall’estensione di vita dei reattori.

Se si decidesse di percorrere questa strada, ci sarebbero errori da evitare?

Si. Il primo: limitarsi a finanziare la ricerca. Attenzione, è decisamente cosa buona e giusta ritornare a finanziare la ricerca italiana sulle tecnologie nucleari, dopo l’anatema anti-atomo lanciato e realizzato dai rappresentanti del M5s sin dal Conte 1, quando ancora l’energia era tema del ministero per lo Sviluppo Economico e si azzerarono i finanziamenti, interrompendo una strategia bipartisan cominciata con Bersani e poi mantenuta da tutti i successivi governi. Azzeramento che oggi permane anche nelle iniziative Pnrr dedicate all’energia (forse una policy da cambiare, alla luce della tassonomia Ue). Ma occorre supportare da subito la filiera industriale e metterla in grado di operare al meglio in ambito europeo, anche attraverso partnership strategiche tra Paesi.

Il secondo errore, che vale per tutti i temi ambientali ed energetici citati sopra e non solo per il nucleare: mantenere o alimentare la dicotomia tra le posizioni ufficiali nazionali dei partiti e le decisioni locali, per opportunismo. Un’incongruenza che non è riferibile a una parte politica specifica ma tocca tutto l’arco costituzionale: i rigassificatori di Piombino e di Ravenna sono lì a dimostrarlo. Serve certamente piena condivisione e partecipazione degli enti e delle popolazioni locali alle decisioni prese a Roma, ma non è possibile disfare nel Comune quello che viene condiviso nella Capitale.

Non ci rimane che attendere i programmi elettorali che saranno svelati e spiegati nelle prossime settimane, ma soprattutto le decisioni che saranno prese dal prossimo governo, quale che sia. Tra le tante da prendere, delicate e decisive, quelle su ambiente ed energia (al pari di altre) ci aiuteranno a capire come sarà declinato il concetto di bene comune.

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