Le vacanze degli italiani sono cominciate all’insegna dell’inflazione più alta dal 1986 (ha raggiunto già l’8,6% in media) e delle minacce pentastellate alla stabilità del Governo. Per capire se quel che resta del M5S giocherà al tanto peggio tanto meglio bisogna attendere l’incontro di domani tra Mario Draghi e Giuseppe Conte. Gli osservatori più attenti sostengono che si arriverà a un pur precario chiarimento all’insegna della moral suasion esercitata dal Quirinale. Il presidente Mattarella è stato chiaro: il Governo non può cadere viste le sfide estremamente difficili che è chiamato ad affrontare.
Quanto al presidente del Consiglio ha detto che resterà solo con questa maggioranza ricevendo l’appoggio di Beppe Grillo che, dopo averlo attaccato, minacciato, insultato, si sarebbe convinto che Draghi non è un bankster e ha pure senso dell’umorismo. I bookmaker della politica italiana scommettono, insomma, che il Governo continuerà la sua navigazione anche se in acque sempre più agitate. L’unico modo per non perdere la rotta, allora, è seguire con determinazione la direzione tracciata, a cominciare dalla prossima Legge di bilancio. Fuor di metafora cosa vuol dire? In una battuta significa darsi delle priorità e tenere dritta la barra.
Il primo scoglio riguarda il superbonus. Non ha funzionato, s’è ingoiato in pochi mesi 30 miliardi e ha riguardato solo l’1% del patrimonio abitativo esasperando i colli di bottiglia sul mercato del lavoro e sui materiali da costruzione. Non ci sono indicazioni attendibili che la ripresa dello scorso anno sia stata trainata dall’edilizia grazie al mega incentivo, mentre ci sono chiare prove di abusi che riguardano tra i i 5 e i 6 miliardi di euro. L’idea stessa di concedere un aiuto superiore alle spese sostenute fa parte della filosofia del pasto gratis applicata anche ad altri sussidi come il Reddito di cittadinanza. Solo che qualcuno paga sempre o i contribuenti con aumenti diretti delle imposte o i risparmiatori con l’aumento del debito pubblico. Debito cattivo, non buono, per ricordare la distinzione draghiana. Il superbonus non verrà prorogato, ma il pasto gratis riceve sostegni trasversali, è dunque uno scoglio politico che va al di là del provvedimento stesso e ci porta alla strategia dei sussidi permanenti che ha dominato gli ultimi anni, ben prima della pandemia.
Per uscire da questa grande illusione la via maestra è impostare una politica dei redditi che coinvolga i diversi soggetti sociali. Ciò significa dare contenuti chiari alla riforma fiscale che finora è un contenitore vuoto. Tutti sembrano d’accordo, per esempio, a tagliare il cuneo fiscale, ma non è chiaro se si tratta di una misura congiunturale come tutte le altre volte o se farà parte di una organica revisione del peso fiscale e una sua redistribuzione tra i vari redditi. Se si deve ridurre il peso delle imposte sul lavoro, andranno aumentate quelle sulle rendite, quali e di quanto? Va salvaguardata la casa a scapito degli impieghi finanziari? Se pagherà meno la produzione pagheranno di più i consumi? L’idea che tutti paghino meno in modo indiscriminato è la variante fiscale del pasto gratis. A meno di non essere pronti ad accettare una riduzione della spesa pubblica corrente. E nessuno sembra esserlo né dentro né fuori il Parlamento.
Il terzo scoglio è il Pnrr. Il Governo dovrà rivedere il piano non per chiedere più risorse (cosa impossibile e nemmeno auspicabile visto che non si è in grado di spendere quelle già ottenute), ma per scegliere le priorità. Nelle condizioni attuali non si riuscirà a rispettare i tempi e il fattore tempo è la vera novità del piano che impone di fare le cose con un calendario preciso. Sarebbe opportuno rivedere quel calendario con realismo e concentrarsi su quel che si deve e si può fare subito. Anche per il Pnrr la teoria del pasto gratis ha spinto a riempire i progetti di interventi ordinari, che vanno fatti comunque, ma con altre risorse e altri strumenti. Trasformare la spesa straordinaria in spesa ordinaria significa sprecare la grande occasione per compiere un salto di qualità. L’impatto sul Pil sarebbe disastroso perché impedirebbe di aggiungere quel surplus che consente all’Italia di uscire dalla trappola di una stagnazione più che ventennale.
Ciò è ancora più grave perché lo scenario è cambiato con la guerra, con le strozzature dal lato dell’offerta, con l’inflazione importata e con la stretta monetaria. Il serio rischio è che la svolta serva ben poco a fermare i prezzi e molto a fermare la crescita. Negli Stati Uniti la paura della recessione sta rimpiazzando quella dell’inflazione. La Banca centrale europea finora è stata più cauta, ma le pressioni del “fronte del nord” danno corpo alla minaccia di una stretta eccessiva e recessiva. Fabio Panetta, membro italiano del direttivo, ha ricordato che la risposta non è “una nuova austerità” ripetendo gli errori di dieci anni fa, ma il modello pandemia, con una risposta comune e solidale senza riproporre la divisione tra Paesi, tra debitori e creditori, tra cicale e formiche, che allora mise in pericolo l’esistenza stessa dell’unione monetaria.
Non è una posizione personale, rispecchia la linea di Draghi e della Banca d’Italia, e non è nemmeno una linea isolata a Francoforte, ma il consiglio è diviso e molto dipende dalla Germania: prevarrà la fobia antinflazionistica dei ceti medi o la pressione produttivistica del blocco industriale che comprende sia i sindacati, sia i grandi imprenditori? La battaglia è tutta da combattere, se il Governo italiano uscirà minato al suo interno dai mal di pancia dei partiti, Draghi sarà una voce che parla nel deserto in patria e in Europa.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.