Alcuni studiosi hanno scoperto come climi freddi durante l'Impero Romano hanno favorito il diffondersi di pandemie. Zona strategica delle indagini è stata quella del golfo di Taranto.
Studiare l’andamento climaticomaggiori informazioni sulla diffusione delle pandemie. E sulla base di una delle ultime scoperte, come riporta Le Figaro, si apprende che durante l’Impero Romano i climi freddi favorirono l’espandersi di pandemie.
Tra il 165 e il 180, si verifica innanzitutto quella che gli storici chiamano la peste Antonina. E anche negli anni a seguire si rinvengono testimonianze di altre pandemie, andate sempre sotto il nome di peste, dal momento che all’epoca le conoscenze mediche non permettevano di distinguere il tifo, dal vaiolo o persino dall’influenza. La prima pandemia di cui si è sicuri che sia stata causata dalla peste inizia negli anni ‘540. È conosciuta come la peste di Giustiniano e durerà oltre due secoli, fino al 766. Studi pubblicati sulla rivista Science Advances ricostruiscono il clima romano per 800 anni. I ricercatori notano che i periodi più freddi e secchi coincidono con queste tre pandemie. L’ultima segna soprattutto l’inizio della piccola era glaciale dell’Antichità tardiva.
STUDIO DELLE PIANTE PER RICOSTRUIRE CLIMI E DIFFUSIONE DI PANDEMIE DURANTE L’IMPERO ROMANO
Per narrare l’evoluzione dei climi passati, gli scienziati dispongono di diversi strumenti. La dendrocronologia, lo studio degli anelli degli alberi, ad esempio, consente di ricostruire le loro condizioni di crescita, umidità, calore, ecc. “Ma per trovare serie sufficientemente estese di alberi abbastanza vecchi da essere contemporanei al periodo romano, preleviamo campioni che crescono sul limite superiore della foresta, spesso a oltre 2000 metri di altitudine nelle Alpi francesi, svizzere o austriache“. Questo è quanto ha spiegato Markus Stoffel, professore all’Università di Ginevra e specialista dei cambiamenti climatici.
Una zona strategica in cui sono state condotte le ricerche è stato il golfo di Taranto, a sud della punta della penisola italiana nel Mar Ionio. Qui gli scienziati hanno studiato la concentrazione di un’alga unicellulare che reagisce particolarmente ai cambiamenti di temperatura e alla variazione dei nutrienti. Le loro fossilizzazioni nel sedimento stratificato quindi archiviano le evoluzioni climatiche. Questo approccio ha permesso di comprendere meglio il contesto climatico dell’antica Roma nel tempo e di confrontarlo con l’arrivo delle epidemie. Gli studiosi hanno osservato una maggiore variabilità climatica a partire dal 130 circa, segnando la fine apparente del periodo caldo romano. A partire dal secondo secolo, si è scoperto che le condizioni sono diventate sempre più fresche e sempre più secche, coincidendo con tre pandemie. Lo stress indotto dal clima potrebbe aver giocato un ruolo di innesco o di amplificazione di un’epidemia, nell’insorgenza o nell’intensificazione della mortalità epidemica.