Papa Leone XIV ha proclamato una giornata di digiuno e preghiera per la pace in occasione di venerdì 22 agosto, Beata Vergine Maria Regina

Il 22 agosto la Chiesa celebra la memoria della Beata Vergine Maria Regina. Non è un titolo da poco: chiamare Maria “Regina” significa riconoscere che la sua maternità non si è limitata alla vita terrena di Gesù, ma che si estende a tutti i credenti e all’intera umanità.

Nella sua persona, fragile e umile, la Chiesa contempla l’icona di un’autorità che non domina, ma custodisce; non schiaccia, ma solleva. Maria è Regina perché è Madre, perché ha saputo attraversare la vita con quella libertà che nasce dall’amore e che non teme di stare sotto la croce.



Il suo titolo di “Regina della pace” non suona oggi come un richiamo lontano o poetico. Al contrario, irrompe nella nostra cronaca: basta accendere la televisione o scorrere un notiziario, la Terra Santa continua a sanguinare, l’Ucraina non trova tregua, altre guerre dimenticate consumano le loro vittime in silenzio. Sono i pianti dei bambini, le case sventrate, i corpi lasciati per strada a ricordarci quanto la pace sia fragile e quanto sia urgente.



Eppure, se siamo sinceri, la guerra non abita soltanto nelle trincee o nei palazzi della politica: la guerra attraversa il cuore dell’uomo. È lì che tutto comincia: nella rivalità, nel rancore covato, nell’orgoglio che non vuole cedere. Maria, Regina della pace, ci è madre proprio perché conosce la fatica delle relazioni, il dolore dei conflitti interiori e familiari, la durezza della solitudine. Lei, che ha custodito nel cuore i misteri di suo Figlio, conosce le nostre contraddizioni e i nostri smarrimenti.

Il digiuno e la preghiera a cui la Chiesa ci invita il 22 agosto non sono, dunque, gesti rituali o pie abitudini, ma la via concreta per ridare respiro all’anima e profondità alla coscienza. Digiunare significa fare spazio, rinunciare a qualcosa per tornare a sentire che non siamo noi i padroni della vita.



Ucraina, bombe russe su Kharkiv, maggio 2024 (Ansa)

Pregare significa aprire il cuore, non per pretendere miracoli istantanei, ma per consegnare la nostra inquietudine a un Altro che può trasfigurarla. Sono gesti che sembrano piccoli, eppure custodiscono una forza straordinaria: ci aiutano a non cedere all’indifferenza, a non abituarci al dolore altrui, a non lasciarci anestetizzare dal rumore quotidiano.

Il mondo cerca la pace nei trattati e nelle diplomazie, e giustamente. Ma la pace vera nasce quando l’uomo accetta di deporre le armi che porta dentro: il sospetto, la diffidenza, l’odio. È una lotta silenziosa che si combatte nelle case, nelle scuole, negli uffici, nei luoghi della vita ordinaria. Maria, Regina della pace, è la compagna di questo cammino: non ci toglie le fatiche, ma ci mostra che anche le lacrime possono diventare il seme di un futuro diverso.

Quando ci inginocchiamo davanti a lei, non ci rivolgiamo a una sovrana distante, ma a una Madre che conosce la fatica dei suoi figli. La sua regalità è fatta di prossimità, di ascolto, di intercessione. Per questo le parole della liturgia — “Maria, Regina della pace, interceda perché i popoli trovino la via della pace” — non sono un’astrazione, ma un grido che ci riguarda tutti.

Forse non vedremo la fine immediata delle guerre che oggi insanguinano il mondo, ma possiamo vedere già ora il miracolo di rapporti riconciliati, di gesti di perdono, di comunità che riscoprono la fraternità. È da qui che riparte la storia: da uomini e donne che, seguendo Maria, hanno il coraggio di non cedere alla logica dello scontro e che, nel silenzio della preghiera, ritrovano la strada della pace.

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