Unità, amore, missione: queste le basi della Chiesa di Leone XIV, attenta all’uomo e alle sue inquietudini. Parla il vescovo di San Miniato

Un Papa e una Chiesa capaci di servire, di aprirsi al mondo, prestando attenzione alle inquietudini dell’uomo di oggi per dare testimonianza di Cristo. Unità, amore e missione sono le parole chiave del pontificato di Leone XIV, che ieri ha celebrato la messa inaugurale del suo pontificato. Nell’omelia ha indicato quali saranno i principi ai quali ispirerà il suo mandato.



La sua, spiega Giovanni Paccosi, vescovo di San Miniato, è una Chiesa che vuole testimoniare l’amore per l’uomo, ma anche costruire l’unità. Un metodo che vale anche nei rapporti con la grande famiglia umana, cui la Chiesa vuole ricordare il fondamento dell’unità stessa: la coscienza dell’appartenenza a Dio.



Il riferimento all’Ucraina e a Gaza ha poi messo in luce l’approccio non politico al tema della pace, che va ricercata sulla base dell’attenzione alle persone e a quello che vivono.

Che impressione ha dato Leone XIV nella sua omelia? In base alle sue parole, che impronta vuole conferire al suo pontificato?

Mi hanno colpito due cose. La prima riguarda quello che ha detto sull’elezione, e cioè che nel conclave è emersa l’unità. È l’indicazione della coscienza e della sicurezza di essere nelle mani dello Spirito Santo, che ha parlato attraverso il conclave stesso. La seconda concerne la sua affermazione: “Sono stato scelto senza alcun merito”.



C’è il riconoscimento di una grazia totale, la coscienza del grande compito che ha come pontefice. Infine, ha posto l’accento sul ruolo del Papa per testimoniare l’amore e costruire l’unità. La Chiesa è chiamata a dare testimonianza di Cristo attraverso una presenza che faccia da fermento nella società, per far scoprire a tutti l’amore di Dio per ogni uomo. Credo che siano queste le idee su cui vuole puntare: l’unità e la missione come impronta dell’amore e della misericordia.

In questo punto del suo discorso ha anche detto che Dio “ci vuole tutti uniti in un’unica famiglia”. A cosa si riferiva in particolare?

Un riferimento alla Chiesa e al suo compito verso tutta l’umanità, perché il tema della famiglia umana, dal Concilio in poi, è molto sottolineato dal Magistero. La Chiesa deve dare testimonianza di cosa rende possibile l’unità: la coscienza dell’appartenenza a Dio. C’è anche un’attenzione alle inquietudini dell’uomo di oggi, un aspetto molto importante: la Chiesa non può comunicare l’amore di Cristo se non c’è un amore vero alla persona e all’umanità così com’è ora.

Durante la Messa ha fatto riferimento anche alle realtà dell’Ucraina e di Gaza (“dove i bambini, le famiglie, gli anziani sopravvissuti sono ridotti alla fame”). Come vuole intervenire Leone XIV sul tema della pace?

Il suo è un approccio non politico, ma di attenzione all’umano, cioè alle persone così come sono. Quello che voleva dire è che, quando c’è, non si può nascondere l’ingiustizia per una ragione politica. Ci vedo la necessità di testimoniare l’amore all’uomo e quindi al più debole, al più indifeso, così colpito in certe circostanze.

Leone XIV ha invitato la Chiesa a non sentirsi superiore al mondo, ma nelle sue prime parole da papa aveva detto che oggi i credenti vengono anche derisi e non considerati in virtù della loro fede. Qual è il motivo di questo richiamo?

Nelle sue parole c’è una rivendicazione che era già del Magistero di Francesco e di Benedetto XVI: lo sguardo dei credenti non è irrazionale, è uno sguardo per cui a ciò cui arriva la ragione si aggiunge una possibilità in più, un’apertura più profonda e più grande che tiene conto di tutti i fattori dell’umano.

Quando il pontefice dice alla Chiesa di non chiudersi e di non sentirsi superiore, cosa intende dire allora?

Vuole dire che quello che ci è dato da Cristo lo abbiamo ricevuto per comunicarlo a tutti, non è per noi. E non si può comunicare a un altro se non lo si ama per quello che è. Non ci si può sentire superiori per qualcosa che si è ricevuto in dono. Sarebbe come pensare di possedere ciò che invece è più grande di noi.

La Chiesa è anche esercizio del potere, se non altro come potere di governo; che cosa emerge su questo punto dalle parole di Leone XIV?

Il papa lo ha fatto capire chiaramente nel suo discorso: “Permettetemi di essere servo”. Il potere è servire, non va demonizzato ma ricondotto a un servizio, perché il fine è la persona. Lo ha indicato come metodo non solo del suo pontificato, ma anche della Chiesa.

Oltre alle Scritture, il papa ha citato Sant’Agostino e Leone XIII. Cosa ci dicono questi riferimenti rispetto al suo programma di pontificato?

Ci indicano il suo sentirsi figlio, il sentirsi quel che è non è per sua capacità, ma per accoglienza di un dono ricevuto. Agostino e Leone XIII sono riferimenti della sua vita. Mi sembra bello che li abbia citati per far capire che uno non vive di luce propria.

(Paolo Rossetti)

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI