La parità scolastica è affermato solo sulla carta, nella realtà non esiste. Lo dimostrano le rette pagate dalle famiglie. Una soluzione c’è
Sono passati ormai trent’anni da quando, giovane liceale di una scuola statale milanese, ascoltai uno slogan insolito quanto potente: “mandateci in giro nudi, ma lasciateci liberi di educare”.
La frase, di un famosissimo sacerdote lombardo (ma questa è un’altra storia), mi incuriosì al punto che da allora ne ho approfondito le ragioni, facendo mia la battaglia per la libertà di educazione e, quindi, di scelta – da parte delle famiglie – dell’istituzione educante e formativa più consona ai propri figli.
Il tempo è passato e in questo strano e bel Paese, con la Costituzione più bella del mondo (che a volte rimane solo parola sulla carta), ancora questa fondamentale libertà non è garantita. Certo, un risultato importante è stato ottenuto a Milano in un convegno per i 25 anni dalla legge 62/2000, nota con il nome del suo estensore, il ministro Luigi Berlinguer; da 25 anni, infatti, vige in Italia un unico sistema scolastico pubblico (cioè rivolto a tutti) formato dalla scuola statale e da quella paritaria.
Missione compiuta… solo sulla carta, però, perché nei fatti chi non poteva permettersi le rette della scuola privata prima, non riesce a permettersele neanche adesso; anzi, paradossalmente la legge sulla parità ha aumentato gli oneri a carico dei gestori privati richiedenti la parità, finendo per aumentarne i costi e, dunque, le rette.
Trent’anni sono passati e quel giovane liceale si trova ora ad essere marito e padre di otto figli, sette dei quali frequentano una scuola paritaria (l’ultimo è amorevolmente accudito al nido comunale). Come riusciamo a permettercelo?
Anzitutto è una questione di scelte: per me e mia moglie è di primaria importanza proporre ai nostri figli la scuola giusta per loro e che sia il naturale prolungamento della proposta educativa che vivono in famiglia. Stabilita questa priorità, tutto si regola di conseguenza, anche le rinunce: spese minime e oculate, risparmio e riciclo, vacanze ridotte, il poter contare su una rete di amicizie e sull’apporto dei nonni (per educare un bambino occorre un intero villaggio, diceva un proverbio africano caro a papa Francesco); e poi la politica inclusiva della scuola che abbiamo scelto, che aiuta le famiglie meno abbienti con fondo di solidarietà e sconto per più figli, più la provvidenziale dote scuola di Regione Lombardia che da decenni (c’era il presidente Formigoni) riconosce un finanziamento a ciascuno studente lombardo da spendere nella scuola scelta dalla famiglia.
E per tutti quelli che non vivono in Lombardia? Possibile che la libertà di educazione sia un diritto che vale su base regionale? E il rispetto dei diritti costituzionali? Non recita l’art. 3 della Carta che i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione alcuna e che la Repubblica si impegna a rimuovere gli ostacoli economici e sociali che limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini?
E l’art. 30, che è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire e educare i figli? E ancora, nell’art. 33 non è scritto che la legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento equipollente a quello degli alunni di scuole statali?
Ed è qui che teoria e pratica rovinosamente collidono: che equipollenza può esserci se chi frequenta la scuola paritaria deve pagare una retta?
Posso già quasi sentirli i cori stantii e sempre uguali di quelli che invocano il “senza oneri per lo Stato” come mantra per lasciare tutto come sta, come quelle carte-amuleto che, se sfoderate in qualche gioco di ruolo, nullificano con il loro incantesimo, ogni azione, forza o sortilegio, portando l’avversario a una sconfitta certa.
A parte il fatto che se le cose stessero veramente come costoro asseriscono, si potrebbe comunque cambiare anche la Costituzione, che non è stata rivelata da una divinità o scritta nella pietra ma fu il risultato di un confronto tra elementi politici diversi (se ne ricordi la natura compromissoria) calati nel loro tempo; in questo caso però non ce n’è alcun bisogno, perché la formula “senza oneri per lo Stato” si riferisce all’istituzione di scuole e non al loro finanziamento, fin tanto che svolgano un servizio pubblico (basta leggersi l’intervento dell’on. Corbino alla Costituente).
Quello che le famiglie vogliono, anzi pretendono, non sono altri soldi alle “scuole per ricchi”, ma che chiunque, indipendentemente dal portafoglio, quelle scuole possa frequentarle.
Ecco perché, neutralizzando ogni possibile obiezione ideologica, le famiglie oggi chiedono il buono scuola nazionale, come più volte ribadito anche dal ministro Valditara.
Il che, tra l’altro, mi sembra solo una questione nominalistica e non di sostanza, perché, de facto, il buono scuola nazionale esiste da sempre, solo che è appannaggio di chi sceglie la scuola statale (o deve accontentarsi di essa).
Quando ho iscritto la mia terza figlia alla statale non ho pagato alcunché, ad eccezione di un bollettino di pochi euro se paragonato alla retta precedente, di alcune migliaia! Quindi la scuola statale è gratuita per le famiglie, ma è evidente che ha anch’essa un costo, quasi doppio rispetto alla paritaria.
Ecco allora la domanda: perché lo Stato rende gratuita la propria scuola ma non quella pur riconosciuta pubblica ma gestita da privati? Oltretutto con i soldi di tutti, anche di chi non la sceglie?
Pubblico non coincide con statale. E la scuola non è naturaliter dello Stato (e il resto solo optional a carico del fruitore). Il gestore privato può svolgere a buon diritto un servizio pubblico, se ne rispetta i requisiti.
Un esempio per i più duri di cervice? Le prestazioni sanitarie: ogni cittadino ha diritto di scegliere dove farsi curare, in cliniche statali o private, e lo Stato o la regione pagheranno le prestazioni curative secondo standard stabiliti preventivamente. Se questo vale per una appendicectomia, perché mai non può valere per quell’aspetto così delicato e articolato come l’educazione e la formazione dei giovani?
Perché è così difficile anche solo pensare di stabilire un costo standard per allievo da spendere in qualunque scuola pubblica, statale o paritaria che sia?
Aspetto risposte, basta che non siano quei deliri per i quali l’unico ente educante sia lo Stato: oltre che fuori dalla Costituzione, simili risposte sono fuori dalla storia, come ci ricorda la tanto citata Europa nella quale, per libertà di scelta educativa, siamo fanalini di coda.
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