Meloni parla di un piano casa. Confedilizia spiega le sue idee su case inutilizzate e canoni di locazione. L’incognita della direttiva UE sulle case green
Il piano casa di Meloni (e Salvini) va bene. E anche l’attenzione per le giovani coppie. Una misura sola, tuttavia, di certo non basta per rilanciare il settore: servono interventi di diverso tipo per sostenere inquilini e proprietari, favorendo condizioni che permettano l’assegnazione degli alloggi pubblici e l’utilizzo di quelli privati.
In attesa di conoscere i contenuti del piano governativo, Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia, mette sul tavolo qualche idea su cui lavorare per favorire l’utilizzo delle migliaia di abitazioni che rimangono inutilizzate: dagli sgravi sull’IMU per i proprietari che affittano, al fondo che aiuta gli inquilini a pagare i canoni di locazione, all’estensione della cedolare secca.
Su tutto pende anche l’incognita della direttiva case green della UE sull’efficientamento energetico: la sua applicazione, nei termini previsti da Bruxelles, significherebbe un aumento dei costi per i proprietari che si scaricherebbero su chi paga l’affitto.
La Meloni ha annunciato un piano casa con prezzi calmierati per chi vuole comprare o affittare. Un progetto del genere come va articolato?
Accogliamo positivamente questo annuncio, anche se i contenuti non sono ancora noti. Il problema della casa va affrontato per le giovani coppie ma anche per gli altri: occorrono interventi di diverso tipo.
Secondo noi, per esempio, bisogna intervenire sull’edilizia residenziale pubblica, mettere a disposizione l’esistente: citiamo spesso a questo proposito il caso degli 86 mila alloggi popolari non assegnati, quindi vuoti, da ristrutturare o da sistemare. Nella legge di bilancio c’è qualcosa: un miliardo e mezzo per intervenire su questi immobili, e qualcosa già si sta facendo.
Cos’altro serve?
Misure che sono in grado di dare risultati più velocemente, utilizzando, quindi, la proprietà immobiliare diffusa, dove da sempre trovano risposta le istanze abitative degli italiani.
Le case ci sono, e sono già disponibili, ma spesso non vengono messe a disposizione delle famiglie, dei giovani, degli studenti o di chi ne abbia più bisogno, per vari motivi. In qualche caso vengono lasciate vuote, in altri usate con affitti non di lunga durata.
Si potrebbe optare per canoni più bassi rispetto a quelli di mercato. Di qui, per noi, l’esigenza di rafforzare il canale di contrattazione concordato previsto dalla legge 431 del 1998, consentendo maggiori agevolazioni fiscali.
Cosa si potrebbe fare?
Ora, per esempio, c’è un meno 25% di IMU (a carico dello Stato) per chi stipula contratti a canoni più bassi rispetto a quelli del mercato. Una percentuale che si potrebbe aumentare, lasciando ai Comuni gli stessi introiti, mentre lo Stato si fa carico della differenza. Si potrebbe arrivare al 50%, se non all’azzeramento: se si ritiene che ci sia un problema serio, servono soluzioni forti.
Ci sono altre soluzioni che si possono adottare?
Sempre per questi contratti c’è un’aliquota di particolare favore, il 10% di cedolare, che in tanti Comuni non si applica. Noi chiediamo di applicarla dappertutto, anche nei Comuni che non sono ad alta densità abitativa: consentirebbe di togliere pressione su alcune città e trovare soluzioni nei centri limitrofi. Se accanto a Milano, a Parma, a Como ci sono Comuni in cui questi contratti non sono applicabili, aumentare gli incentivi lì significa allentare la pressione sui centri più grossi.
Per quanto riguarda gli affitti si può intervenire anche in altro modo?
Occorrono aiuti agli inquilini adeguati a rifinanziare i fondi sugli affitti, che nel corso degli anni hanno un po’ perso i pezzi. Sul fondo morosità incolpevole si è cominciato a rifinanziare nell’ultima legge di bilancio, ma è ancora troppo poco. Inoltre, bisogna dare certezza ai proprietari sugli sfratti.
Stiamo per fare una proposta legislativa, anche se il problema spesso è di attuazione pratica degli interventi nelle diverse città, coinvolgendo magistratura, questure e prefetture: la realizzazione degli sfratti non è sempre uniforme in tutta Italia. Bisogna mettersi in testa che sfratti certi e rapidi vogliono dire più case a disposizione per le famiglie che ne hanno bisogno: sono un vantaggio per i potenziali inquilini che ne hanno bisogno.
Queste sono le nostre proposte. Per il resto, aspettiamo di conoscere come ci si vuole muovere e, in particolare, la definizione della proposta per le giovani coppie, specie se, come si dice, si potrà sfruttare qualche fondo PNRR.
Sul patrimonio immobiliare italiano pende sempre la spada di Damocle della direttiva green della UE, che richiede molte risorse per l’efficientamento energetico. Come può influire su una nuova politica per la casa?
La direttiva sulle case green incide molto di più sull’esistente che sulle case nuove. Noi non l’attueremmo, ma se, nel momento della sua attuazione, non verrà applicata nel modo giusto sarà un problema. Ci aspettiamo che non ci siano obblighi per i proprietari, altrimenti le conseguenze sugli immobili affittati sarebbero immediate: quando si potrà, si scaricheranno i costi sugli inquilini, come accade in tutti i settori economici.
Se la direttiva di Bruxelles venisse presa alla lettera cosa succederebbe?
Abbiamo fiducia che il governo italiano, se e quando attuerà la direttiva, non preveda alcun obbligo nei confronti di nessuno, altrimenti ci metteremmo di traverso. D’altra parte, il nostro è stato uno dei due Paesi che ha votato contro la direttiva stessa, pur avendo contribuito ad attenuarne qualche aspetto.
(Paolo Rossetti)
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