Tra le tracce proposte dal Miur per la prima prova della Maturita 2023, Tipologia B, testo argomentativo, c’è anche “Dieci cose che ho imparato”, un testo tratto dal libro-testamento di Piero Angela. Nel brano, il noto divulgatore scientifico, scomparso ad agosto di un anno, parla dei cambiamenti del mondo attuale, della tecnologia e di quanto ancora sia estremamente importante la mente umana.
SVOLGIMENTO TRACCIA B2 – testo tratto da Piero Angela, Dieci cose che ho imparato
COMPRENSIONE E ANALISI
1. Nel brano proposto, Piero Angela, tentando di offrire una lettura della contemporaneità, individua uno dei cambiamenti predominanti del panorama attuale. Il percorso che in questo breve testo l’autore compie, prende le mosse da un fenomeno economico in atto (“la diminuzione del costo relativo delle materie prime e della manodopera rispetto al “software”) che permette di intravedere come in filigrana una rivoluzione culturale astraendo e ponendo la predominanza del software quale rappresentante dell’idea di conoscenza e di creatività.
In una prima sezione argomentativa, Angela sottopone al lettore alcuni dati che dimostrano il fenomeno economico descritto sia al livello della produzione industriale (in particolare nel settore della microelettronica) sia al livello macroscopico dello studio del Pil delle nazioni più avanzate.
La sezione successiva introduce il concetto di “distruzione creativa”, definita come la scomparsa di attività obsolete rimpiazzate a favore di altre innovative. A questa definizione viene accostata a titolo esemplificativo la scomparsa del gigante mondiale della fotografia Kodak dovuta alla nascita delle macchine digitali e all’incapacità dell’azienda di restare competitiva.
Il testo si conclude sottolineando l’importanza dell’innovazione e dell’intelligenza ed efficienza di un sistema produttivo proponendole come strada maestra per il sostegno anche di quelle attività non direttamente produttive.
La tesi che Piero Angela sostiene è proprio quella presente nell’ultima parte del testo, in cui lega strettamente la possibilità di sostenere tutte le attività non strettamente produttive (come quelle artistiche e culturali) alla ricchezza disponibile. Gli argomenti utilizzati dall’autore servono a mettere in evidenza come la ricchezza di un paese dipenda direttamente dall’intelligenza di cui dispone, nuovo cuore pulsante della contemporaneità. Questo emerge in tutti gli argomenti proposti: dal software considerato come fondamento della microelettronica al sapere come principale fonte di ricchezza dei paesi, fino ad arrivare alla capacità di riadattamento di fronte alle innovazioni del mondo come unica via di sopravvivenza di un’azienda nell’esempio di Kodak.
Il percorso che Piero Angela propone concorre a trovare una modalità per custodire e preservare il patrimonio culturale e artistico di una nazione, individuando nella sempre maggiore innovatività del mondo non solo qualcosa da non temere, ma addirittura il nostro principale alleato in quanto principale generatore di ricchezza, primario sostentamento delle attività non direttamente produttive.
2. La cosiddetta distruzione creativa è definita da Piero Angela come l’uscita di scena di attività obsolete e l’ingresso di altre, vincenti. Questo fenomeno, conseguenza della frizzante innovatività del mondo contemporaneo, comporta delle modificazioni mai avvenute così velocemente al sistema produttivo attuale.
L’esempio di Kodak è paradigmatico di questo processo poiché è passata in pochi anni da essere la massima azienda di fotografia a dichiarare fallimento a causa dell’avvento delle macchine fotografiche digitali. L’autore, indicando queste ultime attraverso la metafora di piccoli cervelli creativi, mette in evidenza l’elemento che ne ha permesso lo straordinario successo: la creatività. È proprio la creatività che impone la distruzione di attività obsolete poiché è il principale elemento che permette l’innovazione.
Le conseguenze della distruzione creativa intaccano principalmente il sistema di produzione e fanno emergere nuove esigenze. Il continuo ricircolo di attività determina da un lato una maggiore precarietà di queste e di conseguenza delle condizioni dei lavoratori, ma dall’altro l’insorgere continuo di nuove possibilità sia di investimento sia lavorative. Sostanzialmente si potrebbe dire che la conseguenza principale di questo fenomeno è lo scardinamento di una staticità ormai impossibile ed il continuo aumento della mobilità del sistema produttivo.
Le esigenze che derivano da questi mutamenti sono individuabili ancora una volta nell’esempio di Kodak. L’azienda, infatti, avrebbe avuto una possibilità di sopravvivenza solo se fosse riuscita a riadattare la propria struttura alle innovazioni che stavano emergendo nel panorama del suo settore. Per riuscire a non soccombere di fronte alla mobilità del sistema produttivo contemporaneo si profila per le attività in gioco una duplice necessità: da un lato la capacità di individuare l’insorgere di innovazioni – a questo serve il continuo aggiornamento e l’informazione sia all’interno del proprio settore sia in quelli ad esso connessi –, dall’altro la possibilità economica e tecnica di riadattare le proprie strutture tenendo conto delle innovazioni individuate nel tentativo di abbandonare l’insieme di attività obsolete e rientrare continuamente in quelle vincenti.
3. Il concetto di ricchezza immateriale è introdotto da Piero Angela per spiegare la natura della ricchezza dei paesi più avanzati. L’autore, creando una analogia tra i prodotti di microelettronica e le nazioni, afferma che le più ricche sono quelle con la più alta qualità e quantità di sapere al loro interno. Come all’interno di un dispositivo ciò che permette il suo funzionamento e che ha il più alto costo di produzione è il software, ovvero la sua capacità di elaborazione mentale, così la principale fonte di ricchezza in un paese è l’applicazione dell’intelligenza e della creatività di cui dispone, i due polmoni che compongono il sistema di ciò che sinteticamente chiamiamo sapere.
4. All’interno del testo proposto emerge chiaramente un forte nesso tra l’efficienza di un sistema di produzione e la ricchezza prodotta da questo. Il nesso è giustificato dal fatto che la ricchezza prodotta è al contempo la conseguenza di un sistema efficiente e la sua condizione di esistenza necessaria in quanto un sistema che non producesse ricchezza non riuscirebbe a sostentarsi autonomamente.
La produzione di ricchezza, però, non è sufficiente a rendere un sistema efficiente poiché quella stessa produzione non è in grado di rinnovarsi. In questo limite si intravede l’altra condizione necessaria a permettere l’efficienza di un sistema produttivo, emerge la necessità di un continuo rinnovamento.
Piero Angela identifica l’elemento che permette l’innovazione in quella che chiama ricchezza immateriale costituita da creatività e intelligenza, che diventano, grazie al loro potenziale rinnovatore, la fonte primaria per la resa efficiente di un sistema produttivo.
PRODUZIONE
Il breve testo di Piero Angela riesce a intercettare un asse portante del panorama contemporaneo. La sua tesi, citata a più riprese precedentemente, lega inscindibilmente la creatività e la capacità di innovazione ponendole a fondamento della possibilità di custodire anche le attività non produttive. L’unità tra questi tre elementi è adeguatamente argomentata e dimostra al lettore la straordinaria portata che può avere il sapere – unione di intelligenza e creatività – all’interno di un mondo in continuo cambiamento com’è il nostro.
Ciò che a mio parere non viene sufficientemente sottolineato nel brano proposto, però, è il rischio che una eccessiva innovatività potrebbe comportare. Piero Angela sostiene che la conseguenza diretta dell’efficienza del sistema produttivo è la possibilità di sostenere anche quelle attività che dipendono dalla ricchezza disponibile e che di produttivo hanno ben poco, ma che sono di primario interesse per la realizzazione di una umanità con orizzonti più ampi della produttività stessa, i cui esempi principi sono l’arte e la cultura.
Di fronte all’entusiasmo che genera l’individuazione del nesso tra attività produttive e non produttive, la problematica che vorrei mettere in evidenza è la seguente: non è detto che la possibilità di custodire l’arte e la cultura, generata dall’efficienza del sistema produttivo, sia effettivamente messa in atto.
Questo rischio è già estremamente attuale e porto a titolo di esempio la media annua europea della spesa per attività culturali che si trova intorno allo 0,4 % del Pil per paese. Confrontandola per esempio con la spesa militare (circa 1,5 % del Pil) vediamo che è meno di un terzo.
Ciò che mi preme mettere in luce è la necessità sia di un sistema produttivo efficiente che permetta di avere i mezzi economici per custodire le attività non produttive, sia dell’effettivo interesse nei confronti di queste ultime, che spesso ai miei occhi appare carente. La mancanza di interesse nei confronti di attività non produttive va individuata a mio parere nella stessa cultura dominante che favorisce la produzione e l’innovazione. Sempre più, infatti, l’uomo contemporaneo si sente onnipotente e autosufficiente, sempre più l’innovazione non si trova più a servizio di un bisogno, e da mezzo diventa il fine stesso. Innovare per innovare. E se ciò che c’è stato prima di una certa innovazione viene categorizzato semplicemente come obsoleto, anche la tradizione, che precede il presente e che lo pone in essere, rischia di perdere valore.
Solo riguadagnando la figliolanza nei confronti della tradizione sarà possibile innovare custodendo il patrimonio culturale passato e valorizzando le attività non produttive necessarie a un’umanità sempre più arida in corsa verso un progresso che non saprà mai colmare il “Misterio eterno / dell’esser nostro” (Sopra il ritratto di una bella donna, G. Leopardi), né in grado di consegnare all’uomo una ragione per cui valga la pena di mettere in campo la creatività al di là del profitto e dell’illusione di un’onnipotenza irraggiungibile.