Il Pil del secondo trimestre in Italia è sceso dello 0,1%. E ancora non si conoscono gli impatti dei dazi. L'Ue dovrebbe darsi una mossa
Secondo la prima stima dell’Istat diffusa ieri, il Pil italiano nel secondo trimestre è sceso dello 0,1% rispetto al primo trimestre e cresciuto dello 0,4% in termini tendenziali.
Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano, non nasconde che si sarebbe aspettato un dato migliore, «soprattutto tenendo conto dell’andamento della produzione industriale e di quella nelle costruzioni. Il comunicato dell’Istat parla, però, di un calo dell’industria e dell’agricoltura. Tuttavia, per meglio contestualizzare il dato italiano è bene confrontarlo anche con quello di Francia e Germania».
Cosa emerge da questo confronto?
Nel secondo trimestre, il Pil francese è cresciuto dello 0,3%, quello tedesco dello 0,1%. Se guardiamo agli ultimi tre trimestri, il Pil dell’Italia è cresciuto dello 0,44%, quello della Germania dello 0,41% e quello della Francia dello 0,34%. Nel complesso, quindi, c’è una crescita quasi piatta nell’Eurozona, confermata dal +0,1% del secondo trimestre comunicato da Eurostat. Finché l’economia tedesca non ripartirà in modo significativo, anche l’export intracomunitario farà fatica a risollevarsi.
Il Pil della Spagna, nel secondo trimestre, è però cresciuto dello 0,7%…
In Spagna la spesa pubblica sta continuando a spingere il Pil, accompagnata da un importante aumento della popolazione anche per via dell’immigrazione. Tant’è che, depurata da queste due componenti, la crescita spagnola non si discosta molto da quella delle tre principali economie europee, avvolte in una sorta di crisi reciproca dovuta all’andamento degli scambi intracomunitari. Mi sembra, quindi, che dai dati emerga una chiara necessità.
Quale?
Quella di una politica europea di rilancio dell’economia, al di là di quello che riuscirà a fare autonomamente la Germania dopo la riforma del freno al debito. Di certo non aiuta il fatto che mentre l’Europa è avvitata su se stessa e non cresce più di tanto l’export tra i Paesi membri, una leva importante come quella dell’export verso gli Stati Uniti rischia di subire un rallentamento.
Questo per effetto dei dazi, su cui è stato raggiunto un accordo che sta facendo non poco discutere, e che per l’Italia potrebbero comportare fino a mezzo punto di Pil in meno l’anno prossimo…
Si può discutere all’infinito sul fatto che si poteva ottenere di più nella trattativa con gli Stati Uniti, ma non credo che, come sostiene qualcuno, si potesse pensare di usare la minaccia della tassazione sui Big Tech per ottenere condizioni migliori. Non so se ci si rende conto dell’effetto inflattivo che potrebbe avere colpire i servizi con maggiori imposte. In questi giorni si stanno facendo, inoltre, stime meccanicistiche sull’impatto dei dazi sull’export italiano che non tengono conto di alcuni fattori.
Di cosa non tengono conto?
Per esempio, del fatto che vi sono prodotti, come la pasta o alcuni formaggi, su cui pesavano dazi superiori al 15% e per i quali non dovrebbe esserci un peggioramento dell’export. Oppure del fatto che nella meccanica i nostri principali concorrenti sono in Germania, Cina, Corea del Sud e Giappone, e per nessuno di questi Paesi sono previste tariffe inferiori, quindi i prodotti italiani non diventeranno meno competitivi, considerando che non c’è una vera produzione negli Stati Uniti.
Sembra che ci sia ancora spazio per poter esentare alcuni prodotti dai dazi americani. Quale dovrebbe essere la priorità italiana in questo campo?
La priorità sarebbe mettere in sicurezza il comparto vitivinicolo, anche perché è molto frazionato con tanti produttori sparsi sul territorio, oltre che le produzioni di alcuni formaggi tipici e il settore farmaceutico, che negli ultimi anni ha dato un contributo importante alla crescita dell’export.
Toniamo alla necessità di una politica europea di rilancio dell’economia. Come dovrebbe essere, a suo avviso?
Bisognerebbe accelerare sugli investimenti, ma soprattutto capire che il Green Deal ha frenato e continua a frenare l’economia. Dal momento che i costi energetici sono aumentati, una transizione energetica forzata non può non avere un prezzo enorme, dato anche dall’adeguamento delle reti, dall’installazione di nuovi impianti con una resa non sempre ottimale. Senza dimenticare l’incertezza normativa che, come mostrato in maniera emblematica dall’automotive, ha bloccato la manifattura europea.
Da mesi si parla della possibilità di rivedere il Green Deal…
E, nonostante l’incertezza dei dazi che incombe, Bruxelles sembra incapace di immaginare un cambiamento reale in questa pianificazione strategica di tipo sovietico messa in campo dalla prima Commissione von der Leyen che ha causato solo danni. Inoltre, non riesce a immaginare uno straccio di strategia per rilanciare l’economia, nonostante abbia commissionato il Rapporto Draghi.
Lei darebbe priorità a qualche settore?
Sappiamo che l’Europa ha dei limiti in alcuni settori, come l’intelligenza artificiale, ma potrebbe immaginare qualcosa sulla sanità, vista anche la situazione demografica europea, piuttosto che sulla farmaceutica, dove non è messa male. Oppure, anziché obbligare all’acquisto di auto elettriche dal 2035, Bruxelles potrebbe costringere i Paesi membri a costruire centrali nucleari, in modo da abbassare i costi energetici evitando una delocalizzazione produttiva.
In attesa di strategie europee, pensa che occorrerebbe lasciare spazio a compensazioni ai settori colpiti dai dazi da parte dei singoli Stati, in deroga al Patto di stabilità?
Si può pensare, in accordo con Bruxelles, a incentivi o a crediti di imposta escludendo le risorse stanziate dai parametri del Patto di stabilità. Prima, però, è bene che si conoscano tutti i dettagli dell’accordo per capire i reali impatti che i dazi avranno sull’economia dei singoli Paesi membri.
Intanto, dopo l’accordo Usa-Ue, il Fmi ha rivisto al rialzo le previsioni sul Pil, anche per il nostro Paese, con un +0,5%, in linea con la crescita acquisita dopo il secondo trimestre.
Le previsioni mi sembrano premature, dal momento che non si conoscono i dettagli dell’accordo. Quanto alla crescita acquisita italiana, non ha subito ripercussioni negative, nonostante il -0,1%, del secondo trimestre, perché sono stati rivisti al rialzo i dati dei due trimestri precedenti. Tra l’altro il nostro dato è in linea con quello francese, mentre la crescita acquisita tedesca a metà anno è pari allo 0,3%.
(Lorenzo Torrisi)
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