Con il +0,3% registrato a novembre, si interrompe la lunga striscia di cali consecutivi della produzione industriale italiana. Ma guardando meglio i dati che l’Istat ha diffuso ieri non si può certo tornare a sorridere visti il -1,5% tendenziale e il -0,4% del trimestre settembre-novembre rispetto a quello precedente. E la situazione dell’industria, come ci spiega l’ex direttore del Sole 24 Ore Guido Gentili, rischia di essere la principale spina nel fianco del Governo, «dato che, a fronte della crescita asfittica, quello che dovrebbe essere un settore trainante, a parte il live rialzo mensile di novembre, perde colpi da quasi due anni. Si tratta di una flessione importante che si rispecchia anche nei tanti tavoli di crisi aperti al Mimit. Il quadro non è roseo e non basta più accontentarsi del buon andamento dell’export, anche perché ancora non è chiara quale sarà la strategia di Trump sui dazi. Stiamo purtroppo continuando a perdere base industriale».
Il mondo industriale si sta facendo sentire in maniera adeguata per evidenziare il problema?
A me sembra che dopo una grande corrispondenza di intenti vista in occasione dell’Assemblea di Confindustria di metà settembre tra il Presidente Orsini e la Premier Meloni, sia arrivato solamente sul filo di lana l’inserimento dell’Ires premiale nella Legge di bilancio, insieme alle norme per cercare di sbloccare il Piano Transizione 5.0.
Misure chieste, appunto, dagli industriali…
Sì, tuttavia per l’Ires premiale sono stati stanziati circa 400 milioni di euro e la platea potenziale di imprese beneficiarie (18.000) è piuttosto ridotta. È stato, quindi, affermato un principio importante, ma bisogna fare di più, come anche sul Piano Transizione 5.0 che sta incontrando difficoltà. Non a caso nelle ultime settimane dagli industriali del nord, in particolare dal Presidente di Confindustria Veneto Carraro, sono arrivate dichiarazioni critiche nei confronti del Governo per non aver fatto abbastanza per l’industria. Dichiarazioni che sembrano anche far trasparire un certo dibattito sul tema all’interno dell’associazione degli industriali.
Cosa può fare il Governo di più sul fronte industriale?
Innanzitutto, dovrebbe spingere maggiormente, accelerare al massimo, con una procedura quasi emergenziale, su Transizione 5.0, sbloccando definitivamente questo Piano. Inoltre, dovrebbe porsi seriamente il problema di un Paese che, certamente anche per i ritardi dell’Ue, rischia la desertificazione industriale. In parte per la crisi generale dell’automotive in Europa, in parte per le altre situazioni di crisi aperte. Il terreno su cui è stato costruito il successo economico del nostro Paese, diventato la seconda manifattura d’Europa, sta diventando franoso. E anche le difficoltà di Francia e Germania non ci aiutano, visto che sono tra i principali mercati di sbocco del nostro export.
Il Governo sconta anche un problema relativo all’attesa per le mosse dell’Ue?
Certamente tutto quello che concerne l’annunciata revisione del Green Deal deve ancora concretizzarsi e ci vorrà tempo. Questa è un’oggettiva complicazione. C’è poi un problema importante su cui l’Italia deve lavorare.
A che cosa si riferisce?
Giovedì scorso, nel giorno della conferenza stampa della Meloni, l’Istat ha diffuso i dati sulla misurazione della produttività nel periodo 1995-2023, dai quali emerge che proprio nell’ultimo anno di osservazione si è registrata una sensibile diminuzione della produttività totale dei fattori. Si tratta di dati di cui si è parlato poco, ma che mettono l’intera classe dirigente del Paese di fronte a delle responsabilità, chiamando in causa i sindacati, gli imprenditori, i Governi, il Parlamento. E che fanno anche capire che l’aumento dell’occupazione, seppur positivo, non basta, se non riesce a trasformarsi in valore aggiunto e in crescita.
Tra l’altro c’è anche un problema di aumento dei prezzi energetici che non aiuta la competitività delle imprese italiane…
I rincari energetici sono sempre stati un problema per l’Italia. Lo sono stati anche nel 2022 e ora, se prolungati, rischiano di tornare a essere un’emergenza del Paese, che continua a scontare problemi relativi alle sue infrastrutture energetiche, come la mancanza del nucleare rispetto ad altre nazioni confinanti o l’importazione di costoso Gnl americano, che Trump chiede di aumentare ulteriormente per evitare l’applicazione di dazi.
Una delle richieste di Trump riguarda l’aumento della spesa per la difesa dei Paesi membri della Nato. Questo significherebbe sottrarre risorse ad altre voci del bilancio pubblico.
Arrivare al 5% del Pil come chiede Trump per noi sarebbe assolutamente impossibile, ma già salire al 2-2,5% porrebbe il problema di reperire le necessarie risorse e credo farebbe anche sorgere inevitabili tensioni politiche, come avviene ogni qual volta nel nostro Paese si parla di maggiori spese per la difesa.
Durante la conferenza stampa di giovedì scorso, Giorgia Meloni ha detto che quest’anno occorre riservare attenzione al ceto medio sul fronte fiscale. Sarà possibile farlo?
È da tempo che si parla di un intervento a favore del ceto medio e, dopo che si è giustamente guardato prioritariamente alle fasce meno abbienti, sarebbe ora che venisse effettivamente approvato come pareva potesse avvenire alla fine dell’anno scorso. Anche perché la pressione fiscale, con le nuove addizionali regionali e comunali, rischia di salire ulteriormente per il ceto medio. L’importante, però, è che non si tratti solo di un segnale, di un intervento di carattere temporaneo per poter dire che si è mantenuta una promessa: deve essere una misura strutturale. Chiaramente per fare questo occorrerà reperire le adeguate coperture.
(Lorenzo Torrisi)
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