I dati diffusi ieri dall'Istat sul Pil del terzo trimestre e sull'inflazione di novembre non sono incoraggianti per l'economia

Avanti piano, quasi fermi. È questa la fotografia dell’economia italiana nel bilancio dei conti Istat per il terzo trimestre di quest’anno. Si viaggia sempre sul posto, senza significativi scossoni, ma anche senza particolari spunti che facciano intravede una possibile ripresa.

Il 2025 si chiuderà quindi attorno al dato della crescita finora acquisita dello 0,5%. Poco, un livello tra i più bassi tra i Paesi dell’Unione europea, ma comunque meglio di niente in uno scenario internazionale segnato dalle incertezze e da condizioni interne poco favorevoli.



I segnali di sostanziale immobilismo vengono anche dai dati sull’inflazione: nel mese di novembre 2025, infatti, l’Istat segnala che l’indice nazionale dei prezzi al consumo ha registrato una variazione del -0,2% su base mensile e del +1,2% su base annua. Anche questo un segnale di sostanziale immobilità: un pizzico di inflazione in più sarebbe utile per convincere i consumatori a spendere di più anticipando i successivi aumenti.



Entrando nei particolari si segnala infatti che la lieve flessione del Pil rilevata a fine luglio è stata dovuta a contributi nulli dei consumi delle famiglie e delle istituzioni sociali private non profit, così come della spesa delle Amministrazioni pubbliche. Contributi positivi vengono invece dagli investimenti (+0,2%) e dalla variazione delle scorte (+0,4%), e segni meno per la domanda estera netta (-0,7%). Si stimano in significativo aumento i redditi di lavoro dipendente pro-capite per lo 0,9%.

Foto di Mandiri Abadi (Pexels)

Questi elementi non hanno alla base solo fattori di natura congiunturale, cioè momentanea e limitata, ma se ne vedono concretamente anche di natura strutturale, che incidono in maniera sempre più sostanziale sull’andamento dell’economia.



Tra le ragioni congiunturali si possono indicare innanzitutto le incertezze dell’economia internazionale sia per le strategie commerciali del Presidente americano, Donald Trump, sia per gli effetti indiretti delle crisi politiche e delle vere e proprie guerre che limitano gli scambi mondiali.

Sul fronte interno non facilitano la dinamica degli investimenti, e quindi le potenzialità di crescita, le incertezze sul fronte della politica industriale e le penalizzazioni che la Legge di bilancio rischia di prevedere sugli interventi sociali e per un settore bancario che resta fondamentale per sostenere le imprese in un momento come l’attuale in cui sarebbe prioritario un sostegno all’innovazione in tutti i suoi aspetti.

Tra le ragioni strutturali al primo posto non può che essere indicato il fattore demografico. In una popolazione che ha sempre meno giovani e sempre più anziani non si può certo pensare a una crescita dei consumi, mentre si ha una sempre maggiore pressione della spesa pubblica sul fronte della sanità e della previdenza.

In questo scenario appare quanto meno surreale l’ostinazione con cui nel progetto di Legge di bilancio si prevede il blocco all’aumento dell’età pensionabile, che dovrebbe essere previsto in parallelo con la crescita della speranza di vita, con un costo di circa 3mila miliardi nei prossimi tre anni, risorse che vengono prese in parte dal Fondo sociale per occupazione e formazione e in parte dal Fondo per interventi strutturali di politica economica: come dire, togliamo soldi agli interventi sociali e per la crescita per evitare che una pattuglia di sessantenni debba lavorare due o tre mesi in più prima della pensione. Non è il modo migliore per sostenere l’economia.

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