Si avvicina il termine per l'utilizzo delle risorse del Pnrr. Può essere utile, quindi, stimare l'impatto che ha avuto su Pil e occupazione
Il 31 dicembre 2025 scade il termine per l’utilizzo delle risorse del Pnrr, il programma straordinario “Next generation Eu” promosso dalle Istituzioni dell’Ue nel corso della pandemia Covid-19.
L’intervento ha mobilitato oltre 800 miliardi di euro, parte dei quali a fondo perduto, per sostenere le iniziative promosse dagli Stati membri per accelerare i tempi della transizione ecologica e digitale degli apparati produttivi e per incrementare il tasso di crescita dell’economia nazionale. Come noto, l’Italia è risultata il maggior utilizzatore di queste risorse (194 miliardi), per la maggiore quota di quelle impegnate nei primi quattro anni di vigenza e delle rate erogate dalle autorità dall’Ue in relazione agli obiettivi raggiunti dalle principali missioni del piano (circa 150 miliardi).
Lo stato di avanzamento autorizza la previsione del completo utilizzo dei fondi prenotati, e della parte aggiuntiva dei fondi nazionali programmati per il medesimo scopo (30,6 miliardi), per finanziare gli interventi rivolti a: modernizzare le infrastrutture fisiche e digitali; incentivare gli investimenti e l’assunzione di personale da parte delle imprese; per gli investimenti e l’occupazione; migliorare la qualità del patrimonio abitativo, del territorio e dei servizi di pubblica utilità.
Nel programma italiano di attuazione, i finanziamenti del piano Next Generation Eu si proponevano di aumentare il tasso di crescita della produzione, della produttività e dell’occupazione della nostra economia recuperando almeno una parte dei divari accumulati negli anni Duemila rispetto alla media dei risultati ottenuti dagli altri Paesi europei.
La scadenza di fine anno impone di fare un bilancio dei risultati ottenuti, tenendo conto dell’esaurimento delle risorse straordinarie aggiuntive e dell’esigenza di provvedere nei prossimi anni al rimborso rateizzato della quota dei finanziamenti a prestito accordata al nostro Paese (123 miliardi di euro, equivalenti al 64% del totale). Una combinazione che comporterà una riduzione della quota delle risorse disponibili per gli investimenti pubblici e privati e della loro incidenza sulla domanda interna.
Il bilancio effettivo dell’impatto del Pnrr, data la mole degli obiettivi e delle misure attivate per singoli settori e territori, richiederà molto tempo, ma è possibile effettuare una prima valutazione dell’impatto delle risorse del Pnrr sull’andamento delle principali dinamiche macroeconomiche nei primi quattro anni di attuazione.

Gli obiettivi relativi alla crescita della quota degli investimenti pubblici sul Pil sono stati ampiamente soddisfatti (il 10% del Pil con un incremento di circa 7 punti). In parallelo sono migliorati sensibilmente anche i tempi per la gestione delle procedure, grazie a circa 400 provvedimenti di semplificazione, per il rilascio delle autorizzazioni da parte delle amministrazioni pubbliche e per l’apertura dei cantieri su tutto il territorio nazionale.
Le aspettative relative all’impatto sulla crescita complessiva dell’ economia (+3,6% del Pil cumulato nel corso dei 5 anni, con ricadute strutturali sul medio e lungo periodo) si sono rivelate ottimiste. Ma lo scostamento negativo è stato influenzato dalla mole di fattori incidentali (le guerre, l’aumento dei costi energetici e dell’inflazione, i dazi) che hanno condizionato i comportamenti degli Stati, degli operatori economici e dei consumatori. Nonostante ciò, l’impatto anticiclico generato dagli investimenti pubblici del Pnrr ha contribuito a mantenere il segno positivo nella crescita del Pil negli ultimi tre anni (2022-24) e, in particolare, per la quota della crescita registrata nelle aree del Mezzogiorno (+8,5% rispetto al +5,2% del centro-nord) nel confronto con l’anno precedente alla pandemia Covid-19.
Nel medesimo periodo, anche la crescita dell’occupazione, circa 1,6 milioni di nuovi posti di lavoro, ha registrato un andamento analogo a quello dell’economia, con una parziale riduzione delle distanze del tasso di occupazione del Mezzogiorno rispetto al resto del Paese. Tuttavia, questi miglioramenti non hanno impedito l’ulteriore esodo di giovani laureati dalle regioni del sud e delle isole verso le aree del nord Italia e dei Paesi europei che offrono migliori condizioni di lavoro e di carriera.
I numeri positivi non trovano una corrispondenza nella crescita dei salari e della produttività, che rimangono gli indicatori fondamentali per comprendere le prospettive delle ricadute strutturali degli investimenti operati. La produttività dei fattori (investimenti e lavoro) è stata modesta (+0,6% nel quadriennio) e i salari lordi dei lavoratori hanno subito delle perdite consistenti del valore reale, circa otto punti, rispetto alla crescita cumulata dell’inflazione. Una perdita che è stata in buona parte compensata, sul potere d’acquisto dei bassi salari, dagli sgravi contributivi e fiscali promossi dai Governi Draghi e Meloni.
Le previsioni statistiche elaborate dall’Istat per l’anno 2026 ipotizzano una crescita modesta del Pil (+0,8%) attribuibile essenzialmente al contributo offerto dal completamento degli investimenti del Pnrr. Ma le prospettive per gli anni successivi, basate essenzialmente sull’incremento dei consumi interni derivanti dall’effetto combinato dei rinnovi dei contratti collettivi e dell’aumento del numero degli occupati, ripropongono il ritorno allo schema degli incrementi modesti del Pil e degli squilibri territoriali della crescita dell’economia italiana.
I prossimi 10 anni saranno caratterizzati anche dal forte esodo pensionistico delle generazioni del baby boom (circa 6 milioni di attuali lavoratori anziani). Le prospettive di un’ulteriore crescita del numero degli occupati dipenderanno essenzialmente dalla capacità di assorbire la quota delle persone in cerca di lavoro, che lavorano con orari ridotti o inattive disponibili a lavorare (circa 4 milioni di donne e giovani), prevalentemente concentrate nei territori del Mezzogiorno. Un obiettivo che può essere conseguito solo con un tasso di crescita del Pil nelle aree interessate superiore alla media nazionale.
Un secondo ostacolo per la crescita dei tassi di occupazione delle donne e dei giovani, per allinearsi alle medie dei Paesi europei, è rappresentato dalle difficoltà delle imprese di assumere i profili professionali coerenti con i fabbisogni della produzione, che è aumentata dal 26% al 46% sul potenziale delle assunzioni negli ultimi quattro anni.
L’aumento del numero delle persone occupate ha consentito una crescita dei redditi familiari superiore a quella dei salari, ma nei prossimi anni, per compensare la riduzione della popolazione del lavoro, servirà anche il contributo della crescita della produttività per favorire la ripresa dei salari reali e per sostenere il fabbisogno della spesa pubblica e privata (pensioni, sanità, lavoro di cura) destinata a incrementare per l’invecchiamento popolazione.
Su questo versante, l’eredità degli investimenti del Pnrr non è positiva. La nuova occupazione si è sviluppata prevalentemente nei comparti economici del terziario a basso valore aggiunto, fattore che motiva anche la bassa crescita dei salari e gli interventi della spesa pubblica per sostenere i redditi da lavoro compensando le lacune del sistema di contrattazione. Lo sblocco del turnover del personale delle pubbliche amministrazioni offre l’opportunità di assumere oltre mezzo milione di giovani laureati entro il 2030, con effetti positivi per la quote delle medie e alte qualifiche nel mondo del lavoro, di genere femminile e per i territori meno sviluppati.
Ma la forte crescita della spesa assistenziale per i sostegni ai redditi, proseguita anche negli anni recenti, ha privato delle risorse necessarie lo sviluppo dei comparti della sanità, del lavoro di cura e dell’istruzione che negli altri Paesi europei hanno rappresentato un veicolo formidabile per la crescita dell’economia, dell’occupazione e del benessere delle comunità.
Gli investimenti nelle infrastrutture fisiche e digitali del Pnrr incorporano un potenziale incremento della produttività dei grandi servizi della Pubblica amministrazione che possono generare ricadute positive anche per la componente dei servizi privati. Le tecnologie digitali rappresentano il potenziale disponibile per fare il salto di qualità, ma dipendono inevitabilmente dalla quantità dei lavoratori dotati di competenze funzionali a trasferirle e a utilizzarle nelle organizzazioni del lavoro.
La mappa dei risultati positivi degli investimenti del Pnrr e delle criticità che continuano a permanere nell’utilizzo produttivo delle risorse, destinate a peggiorare per le conseguenze del declino demografico e dell’impatto delle tecnologie sulla occupabilità dei lavoratori, delinea le scelte che il nostro Paese è chiamato ad affrontare per rigenerare le condizioni di una crescita economica sostenibile e duratura. A partire dall’esigenza di finalizzare l’utilizzo delle risorse a disposizione per rafforzare l’apparato produttivo e l’attrattività del nostro mercato del lavoro.
Dalle scelte che faremo nei prossimi anni dipende la possibilità di rimanere un Paese benestante a dispetto delle statistiche che non confortano queste aspettative.
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