In occasione dei 50 anni dalla pubblicazione di Wish you were here dei Pink Floyd esce una edizione allargata

È il 5 giugno 1975, i Pink Floyd sono nei celebri studi di Abbey Road a Londra, gli stessi dove i Beatles avevano registrato i loro capolavori. La band sta lavorando al nuovo album, dopo l’enorme successo di The Dark Side of the Moon, uscito due anni prima.

Fin da quel disco, il gruppo aveva iniziato a esplorare tematiche che nessun altro gruppo rock aveva toccato: la malattia mentale, il disagio dell’uomo moderno schiacciato tra lavoro, denaro e alienazione. Con Wish You Were Here, queste tematiche si fecero ancora più intense, intrecciandosi con la condizione dell’artista ridotto a semplice ingranaggio della macchina discografica: l’assenza, la nostalgia, l’alienazione, la perdita dell’autenticità, nel contesto dell’industria musicale.



Quel pomeriggio, un uomo grassottello e completamente calvo — persino le sopracciglia rasate — entrò negli studi con una busta della spesa. All’inizio nessuno dei Pink Floyd lo notò, finché David Gilmour bisbigliò a Roger Waters: «Hai visto quel tizio? Sai chi è?». Waters lo guardò e impallidì scoppiando anche a piangere: era Syd Barrett, il suo vecchio amico e l’ex leader e fondatore del gruppo, allontanato nel 1968 a causa dei segni sempre più evidenti del suo disturbo mentale. Nonostante qualche collaborazione solista con Gilmour, da anni nessuno aveva più contatti con lui.



Pink Floyd (Foto: Web)

Waters parlò della sua malattia così: «Sentiva le voci, diventò taciturno, si trasformò in una persona diversa. Erano davvero dei ‘buchi neri nel cielo’».

I Pink Floyd lo avvicinarono e gli chiesero cosa pensasse della musica che stavano registrando. Barrett, ironico, rispose: «È un po’ datata», poi chiese in quale punto avrebbe dovuto entrare con la chitarra. In quel momento la band stava registrando “Shine On You Crazy Diamond”, il brano scritto proprio per lui. Waters spiegò: «Volevo avvicinarmi il più possibile a ciò che sentivo… quella specie di malinconia indefinibile e inevitabile per la scomparsa di Syd.»



Gilmour ricordò la scena con stupore: «È molto inquietante. Come ha fatto Syd a venire in studio proprio mentre stavamo registrando un pezzo che parlava di lui?»

In occasione del 50º anniversario, Wish You Were Here è stato ristampato in un’edizione speciale: 3 LP, 2 CD, Blu-ray, digitale e cofanetto deluxe. La versione digitale include un nuovo mix in Dolby Atmos, realizzato da James Guthrie, storico collaboratore dei Pink Floyd, e 25 brani bonus: 9 rarità da studio e 16 registrazioni dal vivo tratte da un bootleg del concerto alla Los Angeles Sports Arena del 26 aprile 1975, mai pubblicate ufficialmente.

L’album conserva tutta la sua paurosa bellezza. La lunga suite di Shine On You Crazy Diamond, costruita attorno a un riff leggendario diventato di uso comune in quasi ogni documentario sulle conquiste spaziali, contiene uno degli assoli di chitarra più emozionanti della storia. È una suite in nove parti che crea un arco emotivo forte: dalla quiete atmosferica ai momenti strumentali intensi e con ritardi, riverberi e grandi spazi sonori che evocano sospensione e un sentimento di sacralità.

Il brano che dà il titolo all’album si apre con una chitarra acustica (il cui riff è identico a un brano di Van Morrison) e onde sonore di una radio che fatica a sintonizzarsi. È un’ode disperata alla solitudine: «Quanto vorrei, quanto vorrei che tu fossi qui / Siamo due anime perse che nuotano in un acquario, anno dopo anno / Correndo sullo stesso terreno di sempre… cosa abbiamo trovato? Le solite vecchie paure. Vorrei che fossi qui.»

Welcome to the Machine (con i suoi suoni elettronici, synth, rumori, costruisce un’atmosfera fredda, meccanica, alienante) rappresenta l’industria discografica che divora il talento dei giovani artisti, così come la successiva Have a cigar in cui alla voce c’è il cantautore inglese Roy Harper. Ogni traccia dell’album, in un modo o nell’altro, riflette la tragedia personale di Syd Barrett.

I Pink Floyd avrebbero continuato a esplorare la malattia mentale anche nei successivi Animals e soprattutto in The Wall, un tema sempre più presente nella società moderna che seppero cogliere con intelligenza, coraggio e empatia. D’altro canto, di una cosa come la malattia mentale solo chi ha avuto a che farci può capirne il dramma.

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