I Nas all’ospedale di Mantova per controlli sulla plasmaterapia, la cura del plasma iperimmune che ha permesso a una donna incinta di guarire. Un caso sul nulla, perché non c’è stato alcun blitz. Lo precisa Giuseppe De Donno, primario del reparto di Pneuomologia che nei giorni scorsi è stato protagonista di uno scontro anche piuttosto acceso col virologo Roberto Burioni proprio sulla sperimentazione che è in corso a Mantova per i positivi al coronavirus. «I Nas hanno fatto una semplice telefonata in ospedale per raccogliere sommarie informazioni su quello che stavamo facendo», ha dichiarato il medico, come riportato da Il Mattino. Inoltre, ha precisato che dopo quella telefonata no ha ricevuto più notizie. Quindi, non c’è stata alcuna incursione da parte dei Nas a Mantova per la cura col plasma iperimmune, ma semplicemente una telefonata. Anche il direttore generale dell’Asst di Mantova, Raffaello Stradoni, ha confermato che i Nas si sono interessati alla vicenda. «No so perché i Nas abbiano chiamato ma sono totalmente tranquillo. Il protocollo sulla sperimentazione è rigido e consente il trattamento solo su alcuni pazienti che devono avere certi criteri».
PLASMA IPERIMMUNE E “NAS A MANTOVA”, UNA BUFALA
Sulla vicenda della cura col plasma iperimmune è stata costruita però una bufala che ha tirato in ballo i soliti “poteri forti” che si sarebbero mossi per bloccare tutto. Un caso per una semplice telefonata dei Nas. Negli ultimi giorni una gestante, che non rispondeva alle caratteristiche previste per procedere con questa terapia, è stata sottoposta comunque alla cura perché era molto grave. «Rischiavamo di perderla, per cui abbiamo somministrato la cura off-label, in ambito compassionevole e l’abbiamo salvata», ha dichiarato Stradoni alla Gazzetta di Mantova. E quindi ha ribadito: «Non mi risulta comunque che i carabinieri del Nas abbiano sequestrato le cartelle cliniche, hanno solo fato una telefonata». Il protocollo per l’uso del plasma iperimmune ricco di anticorpi, donato da pazienti guariti dal coronavirus, prevede infatti che la somministrazione avvenga in caso di seri problemi respiratori e su una specifica categoria di pazienti. Le donne incinte non sono comprese, ma è stata fatta un’eccezione. «Quel caso rischiava di finire male e quindi abbiamo proceduto e abbiamo salvato una vita, anzi due. Per noi è tutto regolare».