Ieri la Meloni è andata in tv rintuzzare l'offensiva dei pm e forse addirittura un loro patto tacito: rinunciare alla separazione in cambio di una tregua

Intervista serale al Tg5 di Giorgia Meloni dopo l’archiviazione decisa dal tribunale dei ministri in merito al caso Almasri. Archiviata la premier ma non i ministri Nordio e Piantedosi né il sottosegretario alla presidenza Mantovano, per i quali è stata chiesta l’autorizzazione a procedere. È come se i giudici avessero detto che i ministri sapevano e la premier no. E difatti la Meloni giudica “surreale la richiesta di autorizzazione a procedere” nei loro confronti e “ancora più surreale” la sua archiviazione.



“I miei ministri non governano a mia insaputa”, ha spiegato la premier, “perché io non sono Alice nel Paese delle Meraviglie, sono il capo del governo e non sono neanche, diciamocelo, un Conte qualsiasi che faceva finta di non sapere che cosa facesse il suo ministro degli Interni”. Il tagliente riferimento è ai processi a carico di Salvini per i divieti di sbarco alle navi delle Ong.



Quello che la presidente del Consiglio vede è “un disegno politico intorno ad alcune decisioni della magistratura, particolarmente quelle che riguardano i temi dell’immigrazione, come se in qualche maniera si volesse frenare la nostra opera di contrasto all’immigrazione illegale”.

Questo è dunque il giudizio di fondo sul rapporto tra l’esecutivo e il potere giudiziario: “Ovviamente, a me non sfugge che la riforma della giustizia procede a passi spediti e, diciamo così, ho messo in conto eventuali conseguenze”. La chiave di lettura è che le toghe agiscono come reazione alla separazione delle carriere in corso di approvazione. Difficile dare torto alla presidente del Consiglio.



L’intervista del Tg5 procede con altre domande su dazi, Zes in Umbria e Marche, e altro ancora. Ma il messaggio più forte della premier è tutto nella messa in guardia contro le ultime azioni della magistratura. Tanto più che l’archiviazione è arrivata quasi in coincidenza con le dure parole del capo dell’Associazione nazionale magistrati, Cesare Parodi, il quale ha prospettato “una ricaduta politica, neanche tanto indirettamente” se Giusi Bartolozzi, capo di gabinetto del guardasigilli Nordio, dovesse andare a processo sempre per il caso Almasri. L’altro giorno aveva reagito Nordio, che si era detto “sconcertato” dalle parole del presidente Anm. Ieri le dichiarazioni in prima persona della premier hanno alzato il tono dello scontro.

Riforma della giustizia, il Ministro della Giustizia Carlo Nordio al Senato (ANSA 2025, Federico Perruolo)

Da un lato, la Meloni denuncia quello che ritiene l’ennesimo tentativo di portare in giudizio la politica per determinare una crisi di governo proprio mentre la maggioranza sta facendo approvare la riforma della giustizia. Dall’altro, respinge l’interpretazione sottesa all’archiviazione secondo cui sarebbe incapace di dirigere la politica del governo: tra gli altri, lo ha detto ieri sera al Tg2Post Matteo Renzi.

Ma c’è anche la possibilità che i magistrati, con l’archiviazione, abbiano teso una mano alla presidente del Consiglio, offrendole un patto: rendere inoffensivi i principali fautori della separazione delle carriere in cambio di una tregua giudiziaria. Insomma, un avvertimento e al tempo stesso una via d’uscita. Come dire: se il governo non si ferma, lo scontro potrebbe diventare più duro.

Dicendo (al Tg5) che i ministro “hanno agito nel rispetto della legge per tutelare la sicurezza degli italiani”, Giorgia Meloni ha respinto al mittente l’“offerta” dei pm. In attesa del voto sull’autorizzazione a procedere, che verrà negata, la magistratura affilerà le armi. Lo scontro finale è solo rimandato.

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