Caso Sarkozy, Macron usa i giudici. Per non dimettersi ha bisogno che si vari la legge di bilancio. E potrebbe giocare la carta dell'eeleggibilità di Le Pen
Visto dall’Italia prossima al referendum sulla giustizia, il caso Sarkozy si presenta “double face”.
Lo schieramento del Sì alla riforma può additare, nella democrazia reale francese, l’assenza palese dell’indipendenza formale vantata dalla magistratura rispetto alla vita politica del Paese di Montesquieu (e un punto specifico, a favore del centrodestra italiano pro-premierato, appare l’ennesima prova critica del semipresidenzialismo di Parigi). Non c’è un solo commentatore transalpino che non abbia almeno sospettato – dietro la reclusione-lampo dell’ex presidente francese – un reality orchestrato dal presidente Emmanuel Macron, sempre più in balia di una tempesta politica senza precedenti. Che pare aver ormai debordato in crisi istituzionale della Quinta Repubblica, rapporti politica-giustizia compresi.
Simmetricamente, i sostenitori italiani del No potrebbero lamentare nel caso Sarkozy i limiti della separazione delle carriere vigente in Francia fra inquirenti e giudicanti. Questa può essere risultata operante nel botta e risposta fra la zelante severità dei “parquet” e la rapida indulgenza correttiva della corte d’appello.
Ma anche sotto questo punto di vista non sono pochi, Oltralpe, gli osservatori che sospettano un’unica “operazione Sarkozy”: articolata fra inquirenti che hanno tenuto aperte per anni le indagini sui presunti finanziamenti illegali di Gheddafi all’ex presidente e i giudicanti che hanno gestito in tempo reale una discutibile custodia cautelare in una fase politica caotica. Il punto critico – a teorico beneficio della causa del No in Italia – rimarrebbe quindi l’impermeabilità del potere giudiziario alle invadenze di quello esecutivo.

Resta il fatto che la clamorosa incarcerazione di Sarkozy è parsa strumentale a due esigenze contingenti di puro potere di Macron: tenere sotto pressione i gollisti di LR (alleati del “campo macroniano” nella traballante maggioranza di governo) e – soprattutto – rinverdire le accuse di finanziamenti russi al Rassemblement National di Marine Le Pen.
L’avversaria sconfitta da Sarkozy nel combattuto ballottaggio del 2022 è stata posta anch’essa, pochi mesi fa, agli “arresti politici”: come usava già il Re Sole con i frondisti. Un’altra controversa pronuncia giudiziaria ha reso Le Pen temporaneamente ineleggibile alla presidenza: una pena politica grave quanto un’incarcerazione anche se per un’ipotesi di reato (l’uso illecito di fondi riservati agli europarlamentari) molto meno pesante di quella mossa a Sarkozy. Ora, comunque, l’interrogativo è evidente: anche la leader storica di Rn sarà “rimessa in libertà”?
Una risposta, prevedibilmente, arriverà solo all’esito della battaglia della manovra 2026 che sta impegnando giorno e notte l’Assemblea Nazionale. Il budget presentato dal premier Sebastien Lecornu è da settimane una tela di Penelope, fra intenti di sospensione della riforma delle pensioni (per ottenere il sì dei socialisti) e ulteriori pressioni dalla sinistra per “tasse sui ricchi”.
Macron ha un solo obiettivo: ottenere entro fine anno una maggioranza parlamentare qualunque su una legge finanziaria qualunque (anche irrispettosa dei parametri Ue). Questo gli permetterebbe di annullare il solo vero rischio per lui: quello di dover lasciare l’Eliseo in anticipo rispetto alla scadenza naturale del 2027. Potrebbe così continuare a recitare da global player geopolitico e tentare di condizionare la sua successione (forse in vista di un ritorno in campo nel 2032).
Già i due governi centristi di Michel Barnier e François Bayrou – peraltro falliti entrambi – si sono retti sulla “non sfiducia” di RN: che ora invece è passata all’opposizione davanti al rocambolesco ribaltone azzardato da Macron verso i socialisti (anche con il fine di spaccare il cartello elettorale delle sinistre vincente alle legislative 2024). Però a questo punto nella politica parigina – da sempre “suk” di scandali – nulla è più fuori dall’orizzonte del possibile.
Non sarebbe certo sorprendente se Macron giocasse la carta (giudiziaria) della rieleggibilità di Le Pen come estrema difesa contro lo spettro delle proprie dimissioni: difficilmente evitabili se il Paese che guida da otto anni si ritrovasse senza bilancio statale. Forse al presidente potrà essere perfino sufficiente sbandierare soltanto la carta: la leader di Rn di nuovo eleggibile (fin d’ora, per 16 mesi) sarebbe la front runner certa per le prossime presidenziali. E questo è uno spettro per tre quarti dell’arco parlamentare francese.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI
