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Home » Cronaca » Cronaca Nera » NUOVI ATTENTATI/ L’ex ministro Scotti: l’intelligence non è preparata al nuovo terrorismo

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NUOVI ATTENTATI/ L’ex ministro Scotti: l’intelligence non è preparata al nuovo terrorismo

Una guerra completamente diversa dalle guerre del passato e anche dal terrorismo a cui l'Italia è stata abituata per oltre quindici anni. VINCENZO SCOTTI, ex ministro dell'Interno

Int. Vincenzo Scotti
Pubblicato 18 Novembre 2015
francia_polizia_R439

Infophoto

E’ un momento di grande incertezza, di grande insicurezza. Quando il presidente francese François Hollande ha detto lunedì che “la Francia è in guerra”, è come se l’intero continente europeo avesse percepito in un attimo che, dopo la carneficina del 13 novembre, si è entrati in una nuova fase di questa guerra particolare, completamente diversa dalle guerre del passato e differente dal terrorismo a cui anche l’Italia è stata abituata per oltre quindici anni del secolo scorso. Oggi tutto è differente, con particolarità che erano quasi impensabili ai tempi del terrorismo brigatista. Vincenzo Scotti, grande esponente democristiano della “prima repubblica” e bravissimo ministro dell’Interno, sottolinea soprattutto questa diversità, si sofferma su questa particolarità che ci è sconosciuta e che va esaminata con attenzione.


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Onorevole Scotti, in una situazione come questa, si cerca, nel limite del possibile, di comprendere quali margini di sicurezza ci siano. Che ne pensa?

La questione non è affatto semplice perché stiamo vivendo una guerra che è completamente diversa da quelle del passato e siamo in un contesto completamente differente. L’attacco in questa guerra non è fatto con armi pesanti e convenzionali, anche se chi ha dichiarato la guerra è uno “stato”, lo stato islamico. Gli avversari che abbiamo di fronte sono all’interno dei nostri paesi, le cosiddette “cellule dormienti”, e altri, pochi, arrivano dall’esterno. Alla fine sei in una guerra dove ti sfugge il territorio. Sto elencando solo una parte dei fattori che differenziano questa guerra dalle precedenti che conosciamo e che qualcuno ha vissuto. Ed è differente anche dal periodo del nostro terrorismo.


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Basta pensare anche al salto della guerra mediatica che si sta facendo.

Altro elemento che non si può trascurare, che deve essere seguito con attenzione, sempre con lo scopo di conoscere bene quello che intende fare questo nemico che non trovi sul terreno di battaglia.

A suo parere, questo nemico che abbiamo di fronte in questo periodo storico, che cosa vuole?

Intanto seminare il terrore, il panico, la paura quotidiana. Questo mi sembra proprio l’obiettivo principale. L’Isis cerca di fare di tutto, insomma, per spingere l’Occidente a una guerra di civiltà. Guerra che l’Occidente non vuole. A volte mi vengono in mente come questi gruppi di radicalismo islamista sono cresciuti in questi anni, come sono nati, devo dire anche su molti errori fatti da noi, dall’Occidente.


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A suo parere quale è il mezzo più importante per combattere una guerra tanto differente, tanto difficile da affrontare?

Sento spesso parlare di tanti uomini da mettere in campo, ascolto diversi suggerimenti per combattere questo nemico, ogni tanto si parla di nuovi investimenti e reclutamenti. Andrei con ordine, ma innanzitutto continuo a pensare al “fattore umano”. In primo luogo bisogna sapere leggere attentamente quello che fa il nemico e poi pensare a una “intelligence” che usi il più possibile gli “infiltrati”, sia qui, da noi, dove ci sono le cellule dormienti, e anche all’esterno, sul territorio del cosiddetto stato islamico. Sono proprio gli infiltrati che ti danno la lettura migliore delle mosse del nemico. In questi anni e in questi mesi, quando la situazione si è aggravata, avrei raddoppiato, moltiplicato gli infiltrati. E’ da questo lavoro che ti viene la conoscenza di questo fenomeno tanto complesso, con i soldati nemici all’interno, che vivono nelle periferie della tue città, e quelli che combattono all’esterno.


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Le responsabilità dell’Occidente sono gravi. Ci sono state carenze ingiustificate nel lavoro di intelligence dopo il 1992. Sembrava che l’Occidente si cullasse nella pace che seguiva al termine della guerra fredda. 

E’ vero. Ricordo che gli uomini dei servizi non conoscevano neppure l’arabo, non parlavano arabo. Abbiamo trascurato e sottovalutato un grande problema che vedevamo crescere e che molti amici ci invitavano a osservare. Ho a questo proposito dei ricordi personali che oggi mi mettono i brividi alla schiena. E’ inevitabile quindi essere preoccupati, ma le possibilità di risposta ce le abbiamo ancora.


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Come? In quale modo?

Dobbiamo investire proprio in cultura, dobbiamo conoscere questo mondo e, in Italia, per tradizione, abbiamo uomini di grande valore. Mi creda, ne ho conosciuti tanti di personaggi che facevano questo lavoro e non avevano da invidiare nulla a nessun servizio estero più famoso o più noto o più importante per tradizione.

 

Poi ci sarà il problema anche di isolare veramente lo stato islamico e possibilmente di scardinarlo.

E qui occorrerà fare un grande lavoro politico, diplomatico. Con scrupolo e attenzione. Per una partita come questa, che durerà per diversi anni, è necessaria una grande coalizione internazionale.


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(Gianluigi Da Rold)

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