L’INTERVISTA/ Bertinotti: l’accordo Grecia-Ue è il fallimento della sinistra europea

- int. Fausto Bertinotti

Per FAUSTO BERTINOTTI, la sinistra alla Syriza nella trattativa ha dimostrato tutta la sua impotenza, mentre quella di governo come il Pd di Renzi si è colpevolmente allineata alla Germania

bertinotti_zoomR439 Fausto Bertinotti (Infophoto)

“In Europa esistono due sinistre. Da un lato quella dei movimenti come Syriza che nella trattativa greca ha dimostrato tutta la sua impotenza. Dall’altra la sinistra di governo come il Pd di Renzi, colpevolmente allineato rispetto alla linea pro-austerità della Germania”. E’ l’analisi di Fausto Bertinotti, ex presidente della Camera dei deputati ed ex segretario di Rifondazione comunista, secondo cui tra la destra tedesca di Schauble e il centrosinistra di Renzi “c’è la stessa differenza che esiste tra la Coca Cola e la Pepsi”. Nella notte durante il vertice dei capi di Stato europei più lungo della storia è stato raggiunto un accordo in grado di evitare l’uscita della Grecia dall’euro. Un accordo che per Bertinotti è ben lungo dall’essere soddisfacente, perché “penalizza di molto l’ipotesi di partenza” e la cui “responsabilità è una totale inadeguatezza delle sinistre politiche e dei movimenti in Europa”.

Come valuta il ruolo della Germania in questa vicenda?

Il modello economico che la Germania ha impiantato, godendo delle condizioni favorevoli che l’euro le ha offerto, è stata la costruzione di una potenza mercantilista in Europa. Berlino si è giovata sistematicamente della politica monetaria europea e attraverso la guida dell’austerità ha fatto in modo da rimanere l’unica potenza mercantilistica in Europa. In questo modo ha compresso la capacità di crescita degli altri Paesi europei, in particolare dell’area mediterranea.

La posizione di Berlino rispetto alla crisi greca è una conseguenza di questo modello?

Sì. Le politiche di austerità della Germania del resto hanno colpito tutte le popolazioni, compresa quella tedesca, ma soprattutto Paesi che non hanno avuto la possibilità di uscire dalla crisi avviando una politica economica diversa, in primis la Grecia. In Germania si è creato un governo unico, senza alcuna differenza tra i conservatori di Angela Merkel e l’Spd di Sigmar Gabriel. Anzi a volte Gabriel è riuscito persino ad avvicinarsi a Schauble scavalcando la Merkel.

Quali interessi rappresenta il governo di Berlino?

E’ un governo che rappresenta gli interessi della potenza tedesca in Europa, i cui governi si sono allineati anche per dipendenza ideologica alla politica di austerità.

Che cosa va bene e che cosa non va bene di quest’Europa a più velocità?

Non va bene quasi tutto. A proposito dell’Unione Sovietica si parlava nel secolo scorso di “socialismo reale”, per intendere il rovesciamento delle premesse che avevano costituito quel sistema, cioè innanzitutto l’uguaglianza. Oggi allo stesso modo possiamo parlare di un’“Europa reale”, riferendoci ai valori di democrazia ed equità. Quel progetto è stato abbattuto dalla costruzione di un’Europa sostanzialmente liberista e oligarchica.

E’ la Germania che è egoista o sono gli altri Paesi che non sanno difendere i loro interessi nazionali?

Quella degli interessi nazionali è una dialettica che mi sembra francamente fuorviante. Il vero problema è che si è costruita un’Europa attraverso i trattati invece che attraverso la Costituzione. La tradizione del compromesso sociale è stata cancellata, proponendo sull’abbrivio della crisi una politica di restaurazione sistematica che ha investito tutti i Paesi.

Non le sembra però che ci siano alcuni Paesi, come la Grecia, più penalizzati di altri?

Lo sviluppo diseguale è una caratteristica di questo modello economico e sociale, e riguarda quindi anche le diverse realtà dei Paesi. Ma la cifra del conflitto tra Paesi è del tutto fuorviante. Si può anche pensare a un’Europa differenziata, con i Paesi mediterranei in grado di trovare una loro dimensione, ma anche questa è una prospettiva sovranazionale. Solo la paura e la disperazione di una perdita totale di identità possono fare insorgere il tema nazionale, come estrema resistenza allo smarrimento, alla morte della politica e della democrazia. Se si percorre l’orizzonte nazionale, si segue la strada che porta alla guerra civile in Europa.

 

La sinistra europea è attrezzata per affrontare questa crisi che rischia di sfociare in una guerra civile?

Sinistra europea è una parola grossa. Da un lato c’è una sinistra di governo, cui corrispondono il Pd di Renzi in Italia, il Partito socialista francese e i Laburisti inglesi. Tutti questi partiti hanno subito una mutazione genetica, in seguito a cui non sono più definibili in termini sociali in quanto è il governo che definisce la loro natura. E una volta arrivati al governo sono perfettamente omologati ai governi conservatori. La differenza tra conservatori e sinistra di governo è la stessa che c’è tra la Coca Cola e la Pepsi.

 

Qual è la seconda componente della sinistra europea?

La seconda componente è composta dalle formazioni che provengono dalla storia del movimento operaio, che sono esperienze rispettabili ma del tutto impotenti. A queste si affianca l’emergere di nuove formazioni di sinistra che nascono dal basso dentro e contro questa Europa oligarchica e dell’austerità, quali Syriza in Grecia e Podemos in Spagna.

 

Come esce da questo accordo la sinistra alla Syriza?

Il governo di Tsipras ha generosamente tentato l’impossibile, cercando di cambiare la rotta delle politiche europee di austerità. Ci ha provato e non c’è riuscito, arrivando a un accordo che penalizza molto l’ipotesi di partenza. In ciò vedo la responsabilità di una totale inadeguatezza delle sinistre politiche e dei movimenti in Europa, che hanno finito per mostrare tutta la loro impotenza. Naturalmente ciò in forme diverse dal colpevole atteggiamento dei governi di centrosinistra sostanzialmente allineati alla Germania. La condizione dell’Europa è quella in cui al cinismo delle classi dirigenti si oppone una costruzione di esperienze molto promettenti, ma che purtroppo non hanno raggiunto la scala europea.

 

(Pietro Vernizzi)





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