“Un collegamento stabile tra la Sicilia e il continente è priorità per me, per il governo, è di estremo interesse per la Commissione europea”, ed è “il completamento di un corridoio europeo fondamentale che unisce il Mediterraneo alla Scandinavia”. Sono parole del ministro delle Infrastrutture e dei trasporti Matteo Salvini, che intende aprire il cantiere del ponte sullo Stretto di Messina entro due anni. Un’opera gigantesca di cui è già stato prodotto, nel 2011, un progetto esecutivo, mai eseguito e finito in un cassetto.
Ma cosa significa fare un ponte sullo Stretto, in quello Stretto? Ce lo siamo fatti spiegare da Franco Guzzetti, ingegnere, professore di geomatica nel dipartimento di architettura, ambiente costruito e ingegneria delle costruzioni del Politecnico di Milano. Guzzetti è stato referente italiano per la Galleria di base del Brennero.
Professore, sì o no al Ponte sullo Stretto di Messina?
Sarà una banalità, ma la costruzione di un ponte ha in sé una prospettiva positiva, quella di collegare e unire. Per questo ritengo che faccia doppiamente bene alla Sicilia e al Mezzogiorno, oltre che al Paese.
Se ne parla da decenni ma finora non si è fatto nulla. Cosa viene, dopo la decisione di porvi mano?
La decisione di costruirlo, oltre ad avere in primo luogo un obiettivo chiaro e condiviso da raggiungere, deve superare l’analisi costi-benefici: quali sono i costi per realizzare l’intervento e quali sono i benefici che se ne ottengono. La domanda che sottende questo ragionamento è molto semplice: ne vale davvero la pena? La parte più politica di questo ragionamento la tralasciamo, ma implica chiarezza sull’obiettivo, sul soggetto attore dell’intervento, sulla copertura economica – cioè chi mette i soldi – paragonata ai risultati che si prevede di ottenere. Tutti aspetti però fondamentali e a mio avviso prioritari rispetto al problema più prettamente ingegneristico.
Andiamo alla parte ingegneristica. E partiamo dal territorio.
Il territorio è ad alto rischio sismico e le dimensioni dell’opera sono dettate dalla morfologia stessa del terreno. Lo stretto di Messina è ampio poco meno di 3 km nel punto di minima distanza fra continente e isola, anche se questa posizione di minima distanza non è la più opportuna per servire le città di Reggio Calabria e di Messina.
C’è già un progetto esecutivo, approvato nel 2011. Cosa prevede?
Prevede un ponte a campata unica, con la campata lunga 3.300 metri, a circa 65 metri di altezza rispetto al mare. La campata unica è poi raccordata al terreno sino ad ottenere uno sviluppo complessivo del ponte pari a 3.670 m. I due piloni portanti sono costruiti su terreno emerso, non in mare. La parte centrale del ponte supporta il collegamento ferroviario, con due binari; sui due lati della ferrovia sono previste le due corsie autostradali indipendenti. Tale progetto va certamente adeguato alle nuove indicazioni tecniche.
Ci sono altre soluzioni?
Si parla di un’ipotesi alternativa con due grandi piloni che dividerebbero in tre le campate, ovviamente di lunghezza inferiore, con i due piloni realizzati in mare.
Esistono esempi di ponti simili?
In Giappone, territorio sismico, esiste il ponte Akashi con la campata principale lunga 1.991 m. Il ponte con la campata sospesa più lunga è il Ponte dei Dardanelli, in Turchia, con la campata principale lunga 2.023 m, inaugurato quest’anno; anche in Turchia il pericolo più grosso è costituito dal sisma e il ponte è stato realizzato con dissipatori di nuovissima generazione.
Le caratteristiche costruttive del ponte sullo Stretto di Messina sarebbero diverse?
Il progetto approvato per lo Stretto di Messina avrebbe la campata principale lunga quasi il doppio del ponte citato, che attualmente ha la campata più lunga al mondo. Già questa fatto è una grande sfida, sempre ammesso che non si riveda completamente il progetto.
Intende dire che la campata unica non è la soluzione ottimale?
No. Voglio solo dire che ponti sino a 2 km di campata, in zona sismica, esistono già. Il problema sarebbe quindi di superare i 3 km, oppure di rivedere il progetto e impostare il nuovo su tre campate, con due enormi piloni di sostegno a mare piuttosto che su terra. Ricordiamo anche che i piloni sono previsti alti circa 300 m, come due Torri Eiffel.
Cosa significa costruire un simile ponte in zona sismica?
Implica la necessità di dover compensare i movimenti relativi che nel tempo si attivano in corrispondenza delle grandi faglie che compensano i movimenti tettonici. Ricordiamo che la crosta terrestre non è ferma. Le Dolomiti si sono formate 200 milioni di anni fa nella fascia equatoriale e si sono spostate verso nord di circa 4mila km, con un movimento medio di 2 cm l’anno. Questo movimento è ancora in atto; corrisponde al sovrascorrimento della placca africana su quella euroasiatica.
Lei è stato consulente per l’Italia della parte geodetica, cioè rilievo e tracciamento, del Tunnel di base del Brennero. La galleria tiene conto di questo movimento?
Certamente. Il Tunnel del Brennero è progettato per durare 200 anni e in questi 200 anni la distanza fra i due imbocchi (Bressanone e Innsbruck) dovrebbe diminuire di 400 centimetri, pari a 2 cm l’anno per 200 anni. La struttura viene realizzata per poter compensare tale accorciamento che avverrà nella galleria in corrispondenza del passaggio tra le due placche.
E nel caso dello Stretto?
Nella zona ove è prevista la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina la situazione non è equivalente, non vi è il passaggio fra placche anche se il sovrascorrimento non accade molto lontano. In ogni caso anche questo progetto avrà una sua “durata” progettuale e dovrà tener conto dei prevedibili movimenti differenziali fra le due sponde.
Prima ha detto della possibilità di costruire i piloni in mare e sulla terra. Cosa cambia?
La scelta di impostare l’impalcato con piloni costruiti in mare o su terra deve tener conto di alcuni fattori. I piloni a terrà sono più semplici da costruire ma ovviamente determinano una campata molto lunga. Costruire i piloni in mare è molto più complicato, dipende molto dalla profondità del fondale, sino a diventare impossibile quando il fondale diventa molto profondo. Non è l’unico nodo da affrontare, ovviamente.
Quali sono gli altri?
C’è anche il problema di resistere alle correnti marine, da compensare con la solidità del pilone stesso, e quello di poter supportare una collisione (volontaria o meno) con le superpetroliere. Anche quest’ultimo problema è stato risolto nel ponte Rion Antirion (o ponte di Poseidone, tra Peloponneso e Grecia continentale, nda) inaugurato nel 2004. Questo ponte ha campate più corte, circa 560 m, ma resiste a terremoti di magnitudo 7; in più i piloni, che poggiano a oltre 60 metri di profondità, sono difesi da vere e proprie schermature in acciaio progettate per resistere alla collisione con una nave di grandissime dimensioni.
E il vento?
Altro fattore fondamentale. L’opera va progettata per venti eccezionali e gli alti piloni devono elasticamente resistere. Il ponte Rion Antirion, per capirci, è fatto per resistere a venti a 260 km orari.
(Federico Ferraù)
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