Marina Berlusconi ha paura di Elon Musk, attaccato in patria per il suo conflitto di interessi. Un argomento che il Pd (e non solo) ha dimenticato
L’intervista politica di Marina Berlusconi continua a produrre rumori di fondo, che paiono circoscritti al ruolo di Forza Italia nella maggioranza Meloni. Non è però difficile scorgervi uno dei tanti effetti-Trump, anzi effetti-Musk, non solo in Italia. Con qualche aspetto paradossale.
La presidente di Fininvest – erede del Cavaliere anche nel controllo di uno dei tre partiti della maggioranza – è chiaramente preoccupata che il patron di X e SpaceX, entrato nella nuova amministrazione di Washington, sconvolga il mercato di Mediaset: l’infosfera digitale europea verso cui è attratto da anni anche il Biscione, vecchia tv commerciale italiana. E Marina Berlusconi è ovviamente molto più in ansia per il “ciclone Elon” che per i rischi di “rottamazione della democrazia e dell’Occidente” paventati da parte di Trump.
Contro Musk – che ha stretto un legame politico e personale con la premier italiana – i media liberal statunitensi stanno levando accuse sempre più alte di conflitto d’interesse. Ma non sono diverse da quelle che da quasi 35 anni accompagnano Fininvest, fondata e a lungo guidata da un tre volte premier, in regime di duopolio con la tv di Stato, in prorogatio di fatto anche dopo la scomparsa del Cavaliere nonostante i ripetuti richiami Ue.
È curioso che i leader delle opposizioni – dalla segretaria del Pd Elly Schlein a tutti quelli che si confrontarono con Silvio Berlusconi nella Seconda Repubblica – strillino su Trump e Musk e sulla centralità della Ue, ma non imbraccino una questione politica sostanziale, ormai strutturale negli assetti della democrazia italiana. Eppure basterebbe un’iniziativa come quella dell’ex senatore Li Gotti – ex sottosegretario nel Prodi 2 – sul caso Almasri. Sarebbe sufficiente un ricorso alla Corte Costituzionale: italiana, non americana.
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