“La guerra che si è scatenata dal 7 ottobre 2023 ha avuto fra le sue vittime il dialogo ebraico-cristiano”. Lo ha detto il rabbino-capo di Roma, Riccardo Di Segni, intervenendo all’Università Lateranense alla 36esima Giornata di dialogo fra cattolici ed ebrei. Celebrata nelle stesse ore in cui è stato siglato il cessate il fuoco fra Israele ed Hamas dopo 467 giorni di guerra.
Sembra difficile dargli torto, scorrendo il discorso pronunciato dalla presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, Noemi Di Segni, in occasione della tappa a Roma – martedì scorso – del ministro degli Esteri israeliano Gideon Saar. Il suo premier, Benjamin Netanyahu, è tuttora inseguito da un mandato di arresto della Corte penale internazionale per presunti crimini di guerra commessi a Gaza, dove sono stati uccisi 45.700 palestinesi, in gran parte civili.
Di Segni premette che “Israele non è sola o isolata perché la sua sfida esistenziale è condivisa qui assieme a tutte le comunità. E devo aggiungere, per onestà intellettuale, anche grazie a numerosi esponenti di governo e istituzioni italiane vicini e lucidi nel sostegno, nella consapevolezza che non si sta semplicemente difendendo Israele per amicizia e inclinazioni politico-culturali personali, ma per assicurare il domani alla democrazia italiana e all’Europa stessa”.
Le righe successive sono però di denuncia tanto ampia quanto dura. “Qui nelle nostre Comunità – scrive Di Segni – la guerra che affrontiamo, in parallelo, è quella quotidiana contro l’antisemitismo e la distorsione che dilaga. Si annida in ogni ambito (scolastico, accademico, culturale, sportivo) e guida certe menti anche elevate della Chiesa e del dialogo interreligioso, rettori, educatori e sindaci; è evidentemente ben finanziato e, soprattutto, fa leva sui sentimenti più semplici e basilari di ogni cittadino. Si avvale dell’assist ingenuo [?] e costante di un certo habitat politico e organismi internazionali, se non di vere alleanze con i peggiori detrattori e interessi che difficilmente collimano con la morale. Una responsabilità in primis dei media ma non solo”.
All’avvertimento che “la guerra in questo senso proseguirà anche dopo il cessate il fuoco e l’accordo che si attende” (vi si sente l’eco delle dichiarazioni dei ministri israeliani Ben-Gvir e Smotrich, contrari al cessate il fuoco), segue una battaglia annunciata: “Si avvicina la ricorrenza del 27 gennaio e già ci rendiamo conto che sarà durissimo celebrare in modo dignitoso la memoria dei nostri 6 milioni correligionari e salvaguardare l’unicità della Shoa”.
Finisce così preventivamente nel mirino “l’ipocrita presenza a cerimonie ed eventi da parte di chi si inchina alla memoria dei bruciati della Shoa ma dimentica i massacrati del 7 ottobre. O peggio ancora, di chi ribalta tutto ed accusa Israele e gli ebrei dei medesimi crimini e genocidio”.
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