Il premier israeliano Benjamin Netanyahu potrà dunque volare ad Auschwitz il prossimo 27 gennaio, per l’ottantesima Giornata della Memoria. La Polonia è infatti pronta a concedergli un’immunità speciale verso il mandato d’arresto spiccato dalla Corte penale internazionale (Cpi) per presunti crimini di guerra a Gaza. Varsavia aderisce a pieno titolo agli accordi di Roma che hanno istituito la giurisdizione della Cpi, ma ha deciso di sconfessare l’iniziativa forse più rilevante assunta dalla Procura della Corte nella sua storia.
La decisione ha anzitutto ricomposto un Paese fortemente polarizzato sul piano politico-istituzionale. L’altroieri è stato dapprima il presidente Andrzej Duda a ventilare l’apertura sul caso Netanyahu, ufficializzata poi dal premier Donald Tusk. Il primo è un indipendente espressione del Pis, il partito della destra conservatrice al potere per un ventennio fino al 2023. Tusk – ex premier ed ex presidente del Consiglio Ue – è invece un popolare (Po, Piattaforma civica) riuscito da ultimo a spodestare il Pis alla testa di una maggioranza di centro-sinistra. Tusk si è imposto anche grazie alla spinta della Ue, sempre più critica sulle scelte interne di Varsavia, ritenute non lontane da quelle della vicina Ungheria. Le traiettorie di Varsavia e Budapest si sono tuttavia divaricate di fronte allo scoppio ravvicinato del conflitto russo-ucraino.
Il tradizionale asse privilegiato della Polonia con gli Usa ha fatto del Paese la vera retrovia della Nato, mentre Viktor Orbán si è sempre più caratterizzato come “dissidente” nella Nato e nella Ue. Ora lo storico filo-americanismo della Polonia post-1989 pare confermarsi in pieno sul caso Netanyahu: sposato in sicura aderenza ai desiderata di Washington (quella di Donald Trump ancor più di quella dell’uscente Joe Biden), negando invece l’atteggiamento sempre più critico della Ue verso Israele (Spagna e Irlanda hanno fra l’altro riconosciuto in anticipo uno “Stato palestinese”).
Il 27 gennaio – sei giorni dopo l’insediamento di Trump alla Casa Bianca – il premier israeliano si accinge così a cogliere quella che forse lui stesso potrebbe giudicare come “scacco matto finale” nel conflitto iniziato dopo l’attacco di Hamas il 7 ottobre 2023 e via via allargatosi dai Territori palestinesi a Libano, Yemen, Iran e Siria. L’“eccezionalismo” geopolitico di Israele verrebbe dunque pienamente confermato con una plateale delegittimazione della Cpi: anche a dispetto dei 45mila morti di Gaza e Beirut (in gran parte civili), dopo i 1.200 morti del 7 ottobre. L’Occidente democratico euro-americano riconoscerebbe tutti i “fatti compiuti” di Netanyahu (anche nella discussa guida domestica di un governo di estrema destra religiosa) che la Procura della Cpi non giudica diversi dalle azioni della Russia in Ucraina.
Non da ultimo, Ferruccio de Bortoli sul Corriere della Sera ha preannunciato – non smentito – che ad Auschwitz sarebbe intenzionato a volare anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, sempre in prima linea nel contrasto all’odio antisemita, ma anche voce critica (in sintonia con Papa Francesco) con Israele per la distruzione di Gaza, sospettata di genocidio. Una scelta che – a questo punto – potrebbe rivelarsi insidiosa: tutti i leader presenti quel giorno condivideranno di fatto lo strappo operato dalla Polonia e il riconoscimento del rientro di Netanyahu nella comunità delle democrazie occidentali.
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