Ieri Jerome Powell a Jackson Hole ha fatto intendere che la Fed potrebbe tagliare i tassi a settembre e i mercati hanno reagito di conseguenza
Jerome Powell ieri ha tenuto l’ultimo discorso da Presidente della Fed a Jackson Hole nello Stato americano del Wyoming. Il prossimo agosto, infatti, ci sarà già da qualche mese un nuovo Presidente alla fine di un processo di selezione che l’Amministrazione Trump ha già avviato. Il discorso è stato l’occasione per fare il punto sullo stato dell’economia, sulle prossime decisioni di politica monetaria e sul quadro di riferimento di medio termine della Banca centrale americana.
Gli investitori hanno ottenuto da Powell quello che speravano, perché il Presidente della Fed ha fatto riferimento a un prossimo aggiustamento della politica monetaria che tutti hanno interpretato nell’ottica di un taglio a settembre. Le probabilità di un taglio sono passate da poco più del 70% di giovedì all’85% di ieri nonostante un mercato del lavoro ancora in salute e un’inflazione stabilmente sopra il 2%. Gli investitori hanno reagito facendo salire i mercati azionari e obbligazionari e facendo scendere il dollaro incorporando le attese di una politica monetaria più espansiva.
Powell ha descritto lo stato attuale dell’economia citando rischi al rialzo sui prezzi e al ribasso sull’occupazione. È uno scenario complicato per qualsiasi Banca centrale che deve bilanciare il sostegno al mercato del lavoro con quello del contenimento dei prezzi. La decisione di fare un aggiustamento alla politica monetaria, con un taglio, svela però la preferenza della Fed, almeno nel breve termine, e spiega l’entusiasmo dei mercati.
L’analisi sullo scenario economico di Powell contiene elementi in contraddizione con l’apertura ai tagli di ieri. Il Presidente della Fed non risolve l’enigma dell’impatto dei dazi sui prezzi con una previsione univoca. Lo scenario è incerto, ma in quello ritenuto più probabile il trasferimento dei dazi nei prezzi non è ancora concluso; inoltre, i continui cambiamenti dei dazi rischiano di prolungare l’aggiustamento.
Ampio spazio è stato dedicato alla politica sull’immigrazione dell’Amministrazione Trump. La stretta di questi mesi è una novità per l’economia americana dopo il numero record di immigrati arrivati negli anni dell’Amministrazione Biden. Meno immigrati significa minore offerta di lavoro e un numero inferiore di posti di lavoro necessario a mantenere invariato il tasso di disoccupazione. Questa novità unita all’invecchiamento della popolazione non può che essere inflattiva.
Nella revisione della politica monetaria della Fed per il lungo termine Powell ha messo al centro l’impegno a mantenere sotto controllo i prezzi. L’episodio inflattivo del 2021-2023 è ancora fresco nella memoria degli investitori. L’inflazione rimane più vicina al 3% che all’obiettivo del 2% e le previsioni della Fed dipingono un quadro in cui l’inflazione rimarrà sopra il 2% fino al 2028; ciò significa più di sette anni sopra l’obiettivo della Banca centrale. Ci si chiede ormai se la Fed non abbia iniziato a tagliare i tassi troppo presto. Il messaggio di Powell, da questo punto di vista, è stato rassicurante confermando l’impegno alla stabilità dei prezzi.
Il mercato ieri ha deciso di scommettere su un taglio a settembre prima ancora del dato sull’inflazione di agosto. Nel breve termine questo basta a rilanciare il rally. Le preoccupazioni sui prezzi nel lungo termine non sono però concluse come si ricava dall’andamento dei rendimenti delle obbligazioni a lunga e breve scadenza con i primi scesi molto meno dei secondi.
Gli investitori continuano a pensare, a torto o a ragione, che la Banca centrale americana, messa alle strette, deciderà di lasciare correre i prezzi.
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