PREZZO DELLA BENZINA ALLE STELLE. Lunedì mattina i mercati internazionali hanno fortunatamente riaperto in flessione rispetto ai vertici dei 112 dollari per barile che hanno scatenato un fine settimana di passione alle pompe di benzina. Nonché la deflagrante uscita del Ministro Cingolani sull’ingiustificato aumento del prezzo dei carburanti che definisce una truffa colossale ai danni delle imprese e dei consumatori. Polemica in parte acquietata dopo la precisazione che non era riferito a ingiustificati margini della rete distributiva, bensì alle dinamiche speculative sul costo della materia prima da parte di trader, banche ed hedge fund. Operatori finanziari che non hanno causato la volatilità dei mercati dell’energia ne stanno beneficiando ampiamente, anche ai danni delle società del settore energetico invece nel mirino di una possibile tassa sugli extra-profitti. Non di meno sull’esternazione del Ministro si è già aperta un’indagine della magistratura.
Con l’inarrestabile caro-energia che ha portato nel giro di un anno il prezzo del gas a moltiplicarsi di ben 14 volte e quello del greggio a triplicarsi, cresce l’urgenza di concordare dei meccanismi per calmierare strutturalmente i costi dell’energia e il prezzo della benzina. Manovra tanto più complessa che proprio ora, per nobili e condivisibili motivazioni geopolitiche, l’obiettivo dell’Europa è ridurre il consumo di gas russo di ben due terzi nei prossimi nove mesi (programma RepowerEU). Biden ha vietato l’importazione di petrolio russo, ma per gli Stati Uniti rappresenta circa 700 mila barili giorno, mentre per l’Europa sono 3,5 milioni di barili ovvero il 34% dei consumi europei. Tra l’altro nel 2008 la dipendenza dell’Ue si attestava attorno al 34%, in linea con quella statunitense. Nel frattempo, mentre gli Usa sono diventati esportatori netti di energia, in 14 anni l’Europa ha ulteriormente ridotto la sua sovranità energetica: salendo all’attuale 48% di importazioni extra Ue. La flessione generale dell’attività estrattiva di idrocarburi per effetto della finanza verde che ha condizionato e ostacolato l’attività di Stati e compagnie petrolifere, ha sistematicamente contratto l’offerta complessiva di petrolio. Non basta quindi annunciare la decisione di diversificare geograficamente i fornitori (dopo esserci legati mani e piedi con i russi perché allora economicamente conveniente) per riuscire automaticamente a trovare disponibilità di materia prima sul mercato e soprattutto a quale livello di prezzi.
ABBASSARE IL PREZZO DELLA BENZINA, IL GOVERNO PUNTA SULLA STERILIZZAZIONE DELL’IVA
Tornando alle misure di intervento per mitigare i prezzi dela benzina alla pompa, il Governo Draghi sta valutando la sterilizzazione dell’Iva in quanto l’Italia ha notoriamente le imposte indirette più alte sul carburante rispetto al resto dell’Europa. Il 55% del prezzo della benzina (52% per il gasolio) quando facciamo rifornimento è determinato dall’Imposta sul valore aggiunto e dalle accise. Quest’ultime sono imposte indirette che colpiscono determinati beni, anche l’energia elettrica o i tabacchi al momento del consumo. Il resto è il costo della materia prima. Circola molto folclore sulla natura delle accise come tassa di scopo temporanea per eventi ed emergenze storicamente ampiamente superati. Alla pompa contribuiamo per la guerra in Abissinia, per l’alluvione di Firenze degli anni ’60, per la ricostruzione del Belice, per le missioni Onu in Libano e Bosnia e per la gestione immigrati dopo la crisi del 2011. In realtà, da 27 anni, le decine di aumenti straordinari una tantum che sono andati a stratificarsi sul prezzo della benzina a partire dal lontano 1936 si sono consolidati in un’unica aliquota che finisce indiscriminatamente nel bilancio statale, nella distrazione generale.
In pratica per neutralizzare gli aumenti del prezzo finale, il Governo ragiona sull’ipotesi di intervenire sul surplus di gettito Iva generato dall’aumento dei prezzi stessi. Oggi l’aliquota del 22% si applica su tutte le componenti del prezzo del della benzina, anche sulle accise, generando di fatto una tassazione doppia, e sul costo della materia prima che è passata dalla media dei 40 dollari per barile dell’anno scorso agli oltre 100 dollari del primo trimestre dell’anno in corso. Secondo il calcolo dell’economista Davide Tabarelli di Nomisma, rispetto a un anno fa, la componente Iva risulta complessivamente superiore di 10 centesimi. Questo aumento permetterebbe al Governo di compensare la riduzione delle accise. Come del resto è già accaduto almeno due volte in passato, a cavallo del millennio e nel 2008.
NON SOLO IL PREZZO DELLA BENZINA: SUL GAS IPOTESI TETTO SI PREZZI AI FORNITORI
Per il gas la questione travalica la contabilità fiscale nazionale; l’idea è di proporre un tetto sui prezzi ai fornitori attraverso acquisti collettivi di gas da parte dell’Europa. Ma Bruxelles nicchia. Non tutti gli Stati europei, a differenza di Germania e Italia, hanno un energy mix altrettanto sbilanciato sul gas e in particolare su quello russo. Inoltre, si teme che alla proposta di un limite massimo di prezzo, i Paesi fornitori (Norvegia, Algeria, Libia, Azerbaijan) potrebbero essere invogliati a restringere l’offerta verso il mercato europeo e dirottare il greggio verso altri mercati, penalizzando intere filiere di attività già in sofferenza. Ma senza un accordo comunitario, l’azzardo della manovra del tetto ai prezzi applicata unilateralmente dall’Italia sarebbe davvero poco incisiva, per non rivelarsi addirittura un boomerang per la sicurezza delle forniture.
Ma ora che il prezzo del barile è tornato alle quotazioni pre-conflitto russo-ucraino (intorno ai 100 dollari per barile) non sarebbe opportuna una riflessione sui nodi strutturali della politica di approvvigionamento nel suo complesso, anziché gestire l’affanno del momento aggravando l’indebitamento del Paese? Perché i fossili sono sì da considerarsi dei combustibili del passato, ma intanto sono ancora stabilmente presenti.
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