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Home » Cultura » Storia » “Quattro anni prigioniero in un gulag”/ Il sopravvissuto 105enne: “Salvo grazie ad un anello”

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“Quattro anni prigioniero in un gulag”/ Il sopravvissuto 105enne: “Salvo grazie ad un anello”

Lorenzo Drigo
Pubblicato 16 Febbraio 2024
Nei dormitori di un gulag (foto dal web)

Nei dormitori di un gulag (foto dal web)

Giuseppe Bassi, 105 anni, è uno dei pochissimi sopravvissuti ai gulag ancora in vita: in un'intervista per Libero ricorda la terribile esperienza, da cui ne uscì salvo per miracolo

Giuseppe Bassi, 105 anni d’età, è uno degli ultimi (se non forse veramente l’ultimo) sopravvissuto ad un gulag, i campi di concentramento che i Sovietici utilizzarono durante la Seconda guerra mondiale. All’interno di quell’inferno, ricorda in una recente intervista per Libero, ci ha trascorso 42 mesi, dal 24 dicembre 1942, fino al 7 luglio 1956. Una storia incredibile la sua, vivo per miracolo, un ‘vip’ tra i detenuti, finita anche al centro di un docufilm, “Bassi l’ora“.


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Finì nei gulag, prima a Tambov, poi Oranki, Suzdal, Vladimir, Odessa e San Valentino, perché decise di fare “il mio dovere militare, ero sottotenente. Eravamo in linea sul Don, fino alla valle di Arbusowka, la valle della morte“, quando a causa di “un’offensiva russa” venne fatto prigioniero. “Siamo stati circondati ad Arbusowka, abbiamo resistito alcuni giorni”, fino a quando a causa dell’assenza di cibo e armi per difendersi, accerchiati dai russi, si fecero catturare. La strada fino al gulag, ricorda Bassi, fu dura. “Il percorso fu tutto a piedi”, ricorda, “molti morirono durante le marce, almeno 20mila persone“, ma poi le cose non migliorarono.


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Bassi: “Sopravvissuto ai gulag grazie ad un anello”

Nei gulag, ricorda ancora Bassi, “durante il giorno si lavorava con turni massacranti“, mentre i viveri erano “un tè caldo al mattino, un pezzetto di burro e un pezzo di pane. A pranzo c’erano zuppa e cassia”, ovvero una cosa simile alla polenta a base di avena, orzo, grano e mais. Fortunatamente, nel suo campo, “non ci furono episodi di cannibalismo“, come ne vicino “Crinovaia” dove il Copro d’Armata Alpino, costretto alla fame, “squartava i cadaveri” in cerca di “polmoni, fegato, parti che si potessero cuocere”.


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Nel gulag, ricorda Bassi, sfruttò il suo tempo per disegnare, “sulle cartine delle sigarette”, delle mappe che poi spediva a tutti i suoi amici e che furono fondamentali, anni dopo, per individuare “le fosse comuni” del campo e rinvenirne i cadaveri sotterrati dentro. Dal campo di concentramento, peraltro, ne uscì vivo per miracolo, e racconta che “mi avevano tirato fuori dalla fila per fucilarmi. Poi un soldato russo si è accorto che avevo un anello. Diceva ‘dammelo’ e gliel’ho dato. Lui si è dimenticato del kaput e sono ancora vivo”. Comprese, così, che nel gulag i gioielli avevano un certo valore e nascose il suo orologio, “che era valutato anche tre chili di zucchero”, e divenne “l’unico a sapere l’ora”. Da qui, il titolo del suo film, dalle richieste dei suoi compagni di dir loro l’orario.


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