Il Premio Nobel per la letteratura 2025 va all'ungherese László Krasznahorkai, un autore non sulla bocca di tutti. Lo Strega Poesia un po' si smarca
Torna a ottobre, come ogni anno, la strana coppia dei premi letterari. Il primo tutto italiano, cioè lo Strega, che si sta allargando: dall’originario premio di narrativa ad altri quattro o cinque settori, tra cui il premio europeo (un autore e il suo traduttore), il premio giovani e quant’altro. Ormai una multinazionale, come quelle che hanno aziende e società sparse nel mondo e non si sa dove né perché. L’8 ottobre era il turno del Premio Strega Poesia.
Il secondo invece, annunciato ieri, 9 ottobre, è il premio mondiale per eccellenza, cioè il Nobel, il premio dei premi, che dovrebbe donare l’immortalità allo scrittore di turno. Perché gli organizzatori dello Strega si ostinino a predisporre la votazione finale praticamente in contemporanea col Nobel non si capisce. Sembra quasi che vogliano lasciarsi oscurare. O forse non è così.
Lo Strega Poesia è stato vinto da Tiziano Rossi, un anziano poeta che non ha potuto presenziare alla cerimonia per motivi di salute e d’età. Scrive in uno stile che sa sperimentare forme nuove senza aderire all’ideologia sperimentalista che dagli anni Sessanta ammorba la poesia italiana, e il riconoscimento somiglia a una sorta di premio alla carriera, un po’ come successe alla prima edizione, due anni fa, con Vivian Lamarque. Certo, entrambi non hanno scritto il libro più bello dell’anno, ma si può accettare una dichiarazione di riconoscenza a un percorso lungo e fertile.
Essendo il libro di Rossi pubblicato da Einaudi, la vittoria potrebbe essere una specie di risarcimento all’editore, escluso dai finalisti della narrativa con strascico di polemiche. Nelle sue assegnazioni il premio forse non è esente da influenze e pressioni delle case editrici, che partecipano sperando in una lievitazione delle vendite che misteriosamente ancora accade, anche se, pare, sempre meno. Un libro di poesia non venderà mai come un romanzo, ma almeno la faccia è salva.
Della cinquina piuttosto sgangherata di quest’anno l’unico che svettava era Giancarlo Pontiggia, troppo profondo, lirico, colto per essere compreso durante una serata glamour in cui i votanti chissà se hanno letto i libri o solo il quadernetto collettivo con alcuni testi scelti dei concorrenti, consegnato loro durante la serata ma anche, in precedenza, da una giuria monopolizzata dalla cupola romana del premio, che ha imposto i libri di Prifti e Renda non si sa perché.
Alfonso Guida, in quota Guanda (quindi Santagostini, delfino di Cucchi, il cui libro era stato silurato dalla cinquina) scrive notevoli poesie, di tesa incandescenza psichica, sul genere di Amelia Rosselli, ma più assestate.
Per quanto riguarda il Premio Nobel, l’ungherese László Krasznahorkai è un autore sconosciuto in quasi tutto il mondo. Il suo nome è girato soprattutto perché il grande regista Béla Tarr ha tratto dai suoi libri uno dei suoi film, Satantango, opera monumentale di sette ore, considerato dai cinefili esperti un capolavoro assoluto. In Italia Krasznahorkai è pubblicato da Bompiani, che ha avuto evidentemente il fiuto fine. Ha una scrittura labirintica, ossessiva, fascinosa, notturna, tra maledettismo e trascendenza.
I suoi pochi lettori italiani sono già intenti a lodarlo sperticatamente e ad infamare i connazionali ignoranti di una scrittura che all’estero conoscono ovviamente meglio di noi. Ma non è vero, intanto perché l’Italia è uno dei Paesi che traduce di più al mondo, poi perché anche altrove Krasznahorkai è essenzialmente ignoto.
Rimane, netta, la percezione dell’irrilevanza della letteratura: non esistono autori “mondiali”, universalmente conosciuti e riconosciuti. Sono passati i tempi in cui i Nobel si chiamavano Beckett, Neruda, Hemingway, Sartre, Camus, Eliot e, per dire dei nostri, Carducci, Montale o Pirandello. La letteratura, un tempo al centro del dibattito culturale e persino politico-sociale (si pensi a Pasolini), non conta quasi nulla. Forse questo Nobel è uno bravo, forse no; di certo non è uno scrittore che l’umanità possa aver condiviso, discusso, tantomeno amato.
Di chi sia la colpa, è difficile dirlo, ma senz’altro anche dei premi, di “questi” premi. Il Nobel, ad esempio, è l’espressione della cultura occidentalista di sinistra, ha decise coloriture politiche e di parte, insomma, è stato anche usato per mandare messaggi di un certo tipo. Non sappiamo se Krasznahorkai abbia assunto eventuali posizioni anti-Orbán (come quelle anti-Putin di un’altra Premio Nobel), ma non stupirebbe scoprirlo.
Lo Strega è ancora più italiano, cioè espressione di conventicole, di amici degli amici, di manovre di bassa editoria. Le notizie dei due premi non sono altro che istantanee casuali della letteratura, forse solo flash salottieri che, a partire da qualche mese, o settimana, saranno dimenticati. Per la maggior parte di noi, già da domani.
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