Il Premio Nobel per la Letteratura 2024 è stato assegnato alla scrittrice sudcoreana Han Kang “per la sua intensa prosa poetica che affronta i traumi storici ed espone la fragilità della vita umana”, come recita la motivazione dell’Accademia Svedese. Nata nel 1970, l’autrice è figlia d’arte: suo padre Han Seung-won era a sua volta scrittore. Principalmente narratrice, i suoi romanzi più conosciuti anche in Italia sono La vegetariana, L’ora di greco e Atti umani, pubblicati da Adelphi. È la prima volta che un autore sudcoreano vince il Premio Nobel, evento significativo di come la cultura di quel Paese si stia modernizzando e globalizzando.
Dal romanzo La vegetariana è stato tratto anche un film conosciuto e premiato, altro segno di quella montante onda coreana dell’arte (la “korean wave”) che sta velocemente conquistando estimatori in tutto il mondo. Per far mente locale sul clima espressivo e sui temi di queste opere basterà pensare a un film come Parasite, campione d’incassi anche in Italia.
La vegetariana è la storia di una donna, inizialmente raccontata dal marito, che pian piano smette di mangiare, prima la carne poi tutto il resto, svuotando il cibo e mandando a male tutto. Il punto di partenza è l’assenza di rapporti, il gelo degli affetti, il vuoto profondo dell’anima: “Prima che mia moglie diventasse vegetariana, l’avevo sempre considerata del tutto insignificante” svela il marito all’inizio del romanzo. Ed è proprio questa insignificanza il motivo, da una parte, che l’ha indotto a sposarla (“Tuttavia, pur non avendo attrattive speciali, non presentava nemmeno particolari difetti, e quindi non ci fu ragione di non sposarci”) ma anche l’innesco del male, acuto, fisico, devastante che si fa strada nel corpo e nella mente della donna.
La scrittura di Han Kang è efficace e contemporanea: la storia avanza rapida e serrata. nello stesso tempo presenta passaggi in cui la voce si fa liricamente tesa e alcuni dati, soprattutto della natura, diventano emblemi e simboli: “‘Io non lo sapevo. Pensavo che gli alberi stessero a testa in su…L’ho scoperto solo adesso. In realtà stanno con entrambe le braccia nella terra, tutti quanti. Guarda, guarda là, non sei sorpresa?’. Yeong-hye era balzata in piedi e aveva indicato la finestra. ‘Tutti quanti, stanno tutti a testa in giù’”. Da questi pochi cenni si capisce il motivo del successo che ha portato la scrittrice al Nobel, ad un’età tra l’altro molto più giovane della media solita: da una parte i temi della ferita, dell’impossibilità della relazione, del vuoto di senso, dell’identità della donna, che sono i capisaldi della letteratura occidentale attuale; dall’altro la sensibilità poetica, il linguaggio allusivo, la connessione con la natura, che rappresentano prerogative dell’oriente, o almeno di ciò che si aspetta l’occidente dall’oriente.
L’ultimo romanzo di Han Kang è L’ora di greco, ed è forse la sua riflessione più vicina al compimento sul tema della parola. Una donna, che ha perso la capacità di parlare in modo traumatico, tenta di recuperarne la facoltà andando a studiare il greco, cioè cambiando ambito storico e linguistico poiché già una volta, quando da piccola le era successa la stessa cosa, aveva ricominciato a parlare sentendo una parola francese. L’insegnante a cui si affida, tornato in Corea dopo aver passato anni in Germania, è un vecchio professore sul punto di diventare non vedente; dal loro rapporto soffuso e poetico, ma anche oscuro e misterioso, quindi al confine tra il probabile e l’assurdo, scaturisce per lei la possibilità di connettersi di nuovo con la realtà.
Atti umani racconta il tentativo di Han Kang di paragonarsi con la storia del suo Paese, la Corea del Sud degli anni Ottanta, oppressa dalla dittatura militare e dalla legge marziale. È ambientato a Gwangju, la sua città natale, teatro di insurrezioni e proteste soffocate nel sangue, con palestre dove sono stipati cadaveri il cui tanfo di sangue (il sangue è un elemento onnipresente nei suoi romanzi) si avverte ovunque. Il canto di un popolo, il suo dolore e il suo riscatto. Nei romanzi di Han Kang si specchia dunque il percorso storico del suo Paese e dell’anima dei suoi abitanti, passati dal dispotismo alla sovranità popolare, dall’autarchia politica e culturale all’apertura ai linguaggi e alla contemporaneità più avanzati del mondo.
Post scriptum: in perfetta e masochista coincidenza con l’assegnazione del Nobel, è stato proclamato il 9 ottobre a Roma il libro vincitore del Premio Strega Poesia 2024: si tratta di Paradiso, scritto Stefano Dal Bianco (Garzanti), come tutti sapevano e dicevano fin dal primo giorno della sua pubblicazione, mesi e mesi fa. Così, per risparmiare futuri commenti e articoli, annunciamo anche quale libro vincerà la prossima edizione dello Strega Poesia: nell’ottobre 2025 il più votato sarà La scatola onirica di Maurizio Cucchi (Mondadori). Segnatevi giorno e titolo di questo articolo, per favore.
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