Standard & Poor's ha confermato il rating degli Stati Uniti, evidenziando la salita del debito pubblico e il ruolo cruciale della Fed

Standard & Poor’s ha confermato il rating AA+ con outlook stabile per gli Stati Uniti, evidenziando, però, che il rapporto debito/Pil supererà la soglia del 100% nei prossimi tre anni.

L’agenzia di rating ha anche spiegato che “la comprovata capacità della Fed di rispondere con efficacia e tempestività alle crisi e alla volatilità nazionale e globale è un pilastro del rating degli Stati Uniti”: un riconoscimento importante in un periodo in cui la Banca centrale americana si trova nel mirino della Casa Bianca che ne critica aspramente le scelte di politica monetaria.



Abbiamo chiesto un commento a Nicola Rossi, già Professore ordinario di Economia all’Università di Roma Tor Vergata.

Cosa pensa, anzitutto, dell’avvertimento sulla traiettoria del debito pubblico americano arrivato da Standard & Poor’s?

Le proiezioni del Congressional Budget Office americano da tempo segnalano che la traiettoria del debito pubblico potrebbe nel prossimo futuro diventare insostenibile. Penso, quindi, che Standard & Poor’s abbia solamente ribadito un qualcosa che è noto anche all’Amministrazione Trump, che spera di risolvere il problema tramite i dazi. Dubito seriamente che questo possa accadere, ma vedremo.



Sembra interessante la valutazione che Standard & Poor’s fa dell’operato della Federal Reserve.

Mi sembra che venga ribadito qualcosa che i mercati finanziari hanno chiarito da tempo: l’indipendenza e l’autonomia della Fed sono una garanzia per gli investitori. Quindi, ogni attacco dell’Amministrazione Trump che possa ledere questa indipendenza viene visto dai mercati come un segnale negativo per quanto riguarda le prospettive del debito sovrano americano.

È comunque un bene che Standard & Poor’s ribadisca il punto, visto che tra meno di un anno scadrà il mandato del Presidente della Fed e la recente nomina, da parte della Casa Bianca, di Stephen Miran nel board della Banca centrale non sembra andare nel segno dell’autonomia.



Jerome Powell, Presidente della Fed (Ansa)

Pensa che sia stato nominato perché diventi poi successore di Powell?

Trump ha nominato una persona di sua assoluta fiducia, ma non so se abbia lo standing per poter diventare Banchiere centrale e goda anche della necessaria reputazione di mercato. Non sottovaluterei, in ogni caso un aspetto: spesso e volentieri le istituzioni forgiano le persone, nel senso che quando si è all’interno delle prime si comprendono meglio alcune dinamiche e si tende ad assumere un atteggiamento diverso da quello che ci si sarebbe attesi prima. Vedremo quali saranno le prossime posizioni che Miran assumerà e se andranno a ledere il principio di indipendenza della Fed.

Lo potremo vedere già dalla prossima riunione del Fomcdi metà settembre?

Non so se basti uno spazio di tempo così breve. Sarà in ogni caso interessante leggere le minute di quella riunione, quando saranno disponibili, per capire se le posizioni assunte da Miran saranno tali da configurare un completo allineamento alle scelte dell’Amministrazione Trump o se invece, per quanto possano essere di tenore diverso da quelle di altri membri del Fomc, rimarranno per così dire all’interno dell’istituzione.

Siamo invece alla vigilia del simposio di Jackson Hole. Si potranno avere indicazioni sulla politica monetaria della Fed?

Solitamente questo genere di riunioni non comportano necessariamente prese di posizione sulla politica monetaria, semmai forniscono un’idea di quali siano le problematiche che la Banca centrale ritiene di dover affrontare, una sorta di agenda. Credo che gli analisti saranno comunque molto attenti a valutare esattamente ciò che si dira in questo senso.

Si potrebbe parlare, quindi, di dazi?

Più che altro di quelli che possono essere i loro riflessi sul tasso di inflazione, di qual è lo stato del mercato del lavoro americano, della possibilità che l’economia statunitense stia in qualche modo risentendo delle scelte dell’Amministrazione. Si dovrà poi vedere se, a livello di politica internazionale, ci possano essere novità auspicabilmente in grado di ridurre l’attuale incertezza.

A proposito di economia americana, gli ultimi dati sembrano trasmettere segnali discordanti.

Per certi versi non mi stupisce, perché spesso le conseguenze delle varie scelte di politica economica o monetaria si manifestano in tempi diversi. Mi sembra ancora molto poco chiaro quale sia l’effetto complessivo di tutto ciò che è stato messo in campo in questi mesi e credo quindi che una posizione del tutto sensata da parte dei Banchieri centrali non possa che essere quella di attendere che si definisca con chiarezza lo scenario.

Standard & Poor’s riconosce al dollaro lo status di principale valuta di riserva globale. Può continuare a esserlo vista la svalutazione degli ultimi mesi?

Che la svalutazione del dollaro abbia indebolito lo status di valuta di riserva globale mi sembra indubbio, ma è ancora presto per capire quanto l’abbiano minato e se l’abbiano fatto in modo permanente. Bisognerà attendere per capire se si sia o meno di fronte a un trend consolidato e trarre, quindi, le dovute conclusioni.

(Lorenzo Torrisi)

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