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Home » Economia e Finanza » RECOVERY FUND/ Chi pagherà il conto degli aiuti europei promessi all’Italia?

  • Economia e Finanza

RECOVERY FUND/ Chi pagherà il conto degli aiuti europei promessi all’Italia?

Alfonso Ruffo
Pubblicato 1 Giugno 2020
europa_ue_commissione_bandiere_lapresse_2015

LaPresse

Non esistono pasti gratis. Questa massima di Milton Friedman andrebbe ricordata quando si parla delle risorse in arrivo dall'Ue per l'Italia

Non esistono pasti gratis. Resa famosa in ambiente economico dal premio Nobel Milton Friedman, questa massima viene troppe volte dimenticata o contestata (per il presunto eccesso di carica liberale) mentre dovrebbe accompagnare le scelte di ciascuno di noi e in particolare di chi governa le sorti comuni.

Affermare che non esistono pasti gratis non vuol essere una critica a chi ne offre – meritevole l’esempio delle mense per i poveri -, ma vuol semplicemente ricordare che quel pasto sarà sicuramente pagato da qualcun altro, mecenate o contribuente attraverso la tassazione, in maniera consapevole o meno. Queste considerazioni diventano attuali di fronte all’entusiasmo per i 173 miliardi euro che la Commissione europea, grazie soprattutto all’impegno di Francia e Germania, si appresterebbe a mettere a disposizione dell’Italia attraverso lo strumento – da costruire e collaudare – del Recovery Fund.


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Una buona cosa, certamente, ma da inquadrare nel modo giusto per evitare equivoci e delusioni. Gli 82 miliardi di sussidi e i 91 miliardi di prestiti, se le previsioni si realizzeranno, non ci saranno assegnati gratis, ma dietro precise condizioni i primi e un sicuro (seppur lungo) piano di rientro i secondi.

Le condizioni per liberare gli 82 miliardi di sussidi (potremmo dire per semplificare “a fondo perduto” e cioè senza obbligo di restituzione) riguardano la capacità di mettere mano a quelle riforme giuste e necessarie, modernizzatrici, che tutti dicono di voler attuare e nessuno riesce a introdurre ormai da molti anni. L’obiettivo che ci viene indicato, la condizione per darci i soldi, è rendere il Paese più efficiente nell’uso delle risorse che ci verranno riconosciute. Il rischio che l’Europa intravede – a ragion veduta – è che i fondi destinati alla crescita siano invece sperperati o dirottati su canali assistenziali e criminali.


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Che sia per colpa o per dolo, la reputazione dell’Italia nella scelta delle sue priorità non è delle migliori. Da qui la perplessità di alcuni partner europei – autoproclamatisi frugali – nell’essere così generosi verso un membro della Comunità che troppe volte ha dimostrato di non riuscire a perseguire i suoi stessi interessi.

Dunque, occorre mettere a freno una burocrazia autoreferenziale, garantire una giustizia civile e penale più veloce e meno arbitraria (tutto questo mentre fioriscono le intercettazioni sulla vocazione politica e traffichina di certa magistratura), rendere meno cervellotico il sistema delle regole da seguire.


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Nel caso dei 91 miliardi concessi a prestito, poi, si tratta di convincere l’Unione della nostra capacità di rimborsarli sia pure in trent’anni e a tassi di grande favore. Di nuovo la chiave di volta è la capacità di produrre ricchezza in modo costante e continuato per evitare di coinvolgere gli altri nel nostro fallimento.

Insomma, che si tratti del Recovery Fund, del Mes, del Sure, della Bei – per allineare le varie opportunità che si presentano sull’orizzonte europeo – occorre comprendere fino in fondo che non sarà possibile attingere alla cassa comune senza una chiara strategia e una visione condivisa. Non per cattiveria. Ma perché, appunto, non esistono pasti gratis. Alla fine della giostra il conto qualcuno dovrà sempre e comunque pagarlo.


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