Cosa succede se vince il Sì o il No al Referendum 2025 sui contratti a termine: quesito n.3 (scheda grigia), le conseguenze e gli scenari dopo i risultati
Si avvicina la chiusura delle urne per i Referendum 2025 e, prima di poter scoprire tutti i risultati — a partire da quello sul raggiungimento del quorum — vale la pena soffermarci un attimo sugli effettivi quesiti ai quali siamo stati chiamati a rispondere: tra queste righe (come sarà facilmente intuibile) ci soffermeremo soprattutto sul quesito numero 3, intitolato “Apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi“, incentrato — appunto — sul tema dei contratti a termine; e mentre degli altri quattro protagonisti della consultazione ci sono tre domande relative al mondo del lavoro (tra Jobs Act, licenziamenti e sicurezza), l’ultima chiede di esprimere un parere sulla cittadinanza.
Utile ricordare, a livello generale — prima di passare al quesito sui contratti a termine e sulle eventuali conseguenze dell’approvazione — che, esattamente come tutte le altre consultazioni di questa tipologia, i Referendum 2025 saranno abrogativi: ciò significa che mirano a rimuovere alcune parti di determinate norme e, affinché possano apportare dei cambiamenti reali, chiedono di votare “Sì”; mentre il “No” lascia la normativa invariata ed è spesso sostituito dall’astensionismo, utile affinché non si raggiunga il quorum del 50%+1 degli elettori al voto.
REFERENDUM 2025, QUESITO N. 3 SUI CONTRATTI A TERMINE: COSA CAMBIA CON IL “SÌ” E COSA SUCCEDE CON IL “NO”
Fatte tutte le dovute premesse, possiamo entrare nel vivo dell’effettivo quesito numero 3 della consultazione referendaria, incentrato — dicevamo già prima — sul tema dei contratti a termine, con un’abrogazione parziale della legge numero 81 del 15 giugno 2015: il decreto era relativo alla durata dei contratti e alla possibilità per i datori di lavoro di stipularne a tempo determinato per i primi 12 mesi di assunzione, senza dover indicare alcuna motivazione sul perché non sia stata scelta l’opzione dell’indeterminato; mentre la causale entra in gioco in caso di rinnovo del contratto a termine dopo i primi 12 mesi.
L’idea alla base del quesito è quella di obbligare il datore di lavoro che opta per un contratto a termine a indicare la causale (che ovviamente deve rientrare tra quelle previste dalla legge) fin dalla prima stipula: con il “Sì” — in altre parole — verrebbe parzialmente combattuto il precariato, facendo sì che si opti per il tempo determinato solo là dove non ci siano ragioni fondate; il tutto a beneficio del lavoratore, che godrebbe di tutte le varie agevolazioni garantite da un contratto a tempo indeterminato.
D’altra parte, se al Referendum 2025 vincesse il “No”, resterebbe in auge l’attuale sistema, con i datori che potranno ancora sfruttare quei primi 12 mesi di assunzione senza fornire spiegazioni delle motivazioni, sfruttando anche il meccanismo della scadenza naturale del contratto a termine per evitare il secondo passaggio; mentre è bene ricordare che vincerà il “No” anche a fronte del mancato raggiungimento del quorum, pur con una maggioranza di “Sì”.
