Elezioni regionali Puglia, Decaro non vuole correre se si candidano Emiliano e Vendola in consiglio regionale. Per Schlein un bel problema

Io, mammeta e tu. È questa la canzonetta che il candidato in pectore alla Regione Puglia Antonio Decaro va cantando da qualche giorno. La presenza di Emiliano e Vendola, come ipotetici consideri regionali, è per lui insopportabile. Come lo era per il fidanzato della canzonetta dover andare in giro accompagnato dalla mamma della promessa sposa senza avere un attimo di libertà.



E la cosa è comprensibile. Nel percorso di personalizzazione della politica l’ultimo atto è non volere accompagnatori o padrini, non voler essere accomunati a scelte precedenti ed agire come se si fosse una specie di messia arrivato da lontano a risolvere i problemi.

E questo è forse il segno della definitiva caduta del mito del Partito democratico come comunità. Se tra di loro non si fidano a far eleggere uno nuovo, come pare che Emiliano dica con la sua candidatura, ed il prescelto soffre della presenza di un padrino ingombrante, vuol dire che tra loro non vi è un disegno comune, una visione condivisa tale da giustificare un più che auspicabile staffetta.



La questione non è secondaria, anzi. Se così stanno le cose, non si comprende a che serve la segreteria della Schlein, che oramai non fa altro che inginocchiarsi a quelle logiche che, in stile gruppettaro, ha tanto combattuto.

La sua segreteria nasce dalla unione dei “basisti” della tradizione comunista, che vorrebbero un partito forte ed accentrato. Solo che l’immagine, e soprattutto la sostanza, fanno capire che le logiche di potere vere sui terrori le governano gli umori dei visir e dei cacicchi che si fanno la guerra, fregandosene della comune appartenenza.

Tra i due sbaglia forse più Decaro che Emiliano. Soffrire il predecessore, al punto di ostracizzarlo, ne certifica un animo profondamente egotico e scarsamente incline al “servizio” che un politico dovrebbe prestare. Teme di dover pagare lo scotto delle decisioni di Emiliano, di essere messo a paragone e di subirne la presenza ingombrante.



Antonio Decaro e Michele Emiliano a Bari (ANSA 2024, Donato Fasano)

In pratica, teme di far politica nel modo più autentico e vero, ovvero confrontandosi e traendo le conclusioni del confronto.

Emiliano, come Vendola, soffre della sindrome dell’ex. Il potere è droga pura che non si lascia senza dolore. Tornare ad essere centrali, riprendersi la scena è la tentazione a cui entrambi non sanno resistere. Ed anche loro sono chiaramente sintomi della crisi profonda della politica del Pd, che parla di rinnovamento ma alla fine deve accontentare chi ha i voti.

Se poi, alla fine, la Schlein avrà un sussulto, allora dovrebbe “far fuori” tutti e tre. Trovare un candidato nuovo, tenere fuori dalle liste gli ex governatori e ristabilire il primato della politica di partito contro i personalismi.

Vorrebbe, Elly, ma sa che non può. Troppo debole la struttura nazionale per reggere un scelta del genere, troppo forti i potentati locali per farne a meno.

E così la questione sarà probabilmente risolta a vantaggio di uno dei due. O Decaro la spunta, e con il suo musetto imbronciato avrà avuto la scena tutta per lui, o Emiliano diventa presidente del Consiglio regionale e continuerà, questa volta legittimato dalla sua stessa candidatura, a dettar legge con un altro candidato governatore.

È tempo di cambiare musica nel Pd. I vecchi motivetti con cui si è andati avanti per anni non reggono alla prova del tempo. Comunità, coesione, visione comune, rinnovamento sono tutte parole vuote e che non sono applicate praticamente da nessuno.

La musica vera è quella del partito-taxi usato quando serve, ma a corsa singola, tipo NCC. Ed il motto più comune è sempre di più “meglio solo, che male accompagnato”. Solo che così facendo si resta in pochi. Troppo pochi per combattere la Meloni.

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