La leader Pd Elly Schlein sacrifica Giani in Toscana per salvare l'intesa con i 5 Stelle. "Prima le alleanze". Ma il territorio scalpita e non gradisce
Nella Toscana che è ancora roccaforte rossa, si è consumato ieri un atto fuori dal normale, un colpo di scena che scuote le fragili fondamenta del “campo largo”. Nelle stanze del potere, Elly Schlein, con la consapevolezza di chi cerca di ricomporre un vaso probabilmente in frantumi, ha deciso di fermare la ricandidatura di Eugenio Giani alla presidenza della Regione.
Quattro ore di confronto serrato, un groviglio di strategie e compromessi, hanno lasciato dietro di sé un’eco di malumori e un senso di inevitabile precarietà. La partita, ora, si gioca su un tavolo instabile, quello dell’alleanza tra Pd e Movimento 5 Stelle, un connubio che appare come un gigante dai piedi d’argilla, pronto a crollare sotto il peso delle sue contraddizioni.
Giani, con l’apparentemente imperturbabile calma del politico navigato, ha dichiarato di affidarsi alle scelte del suo partito e ha anche smentito la possibilità di un suo passo indietro. Ma nei corridoi della Regione, dove le parole si fanno sussurri e i segreti prendono forma, si vocifera di un governatore ormai rassegnato a cedere, a patto di ottenere una via di fuga dorata: un seggio parlamentare, una poltrona sicura a Roma che compensi l’amara perdita della presidenza.
La mossa di Schlein, tuttavia, non è solo un calcolo interno. È un atto di sopravvivenza, un tentativo di preservare un’alleanza con il M5s fragile come cristallo, in un contesto politico che si fa ogni giorno più ostile. Una decisione che ha già incrinato il fragile equilibrio interno al Pd, con i territori che acclamano a gran voce Eugenio Giani e con i riformisti che vedono in Giani un simbolo di pragmatismo, schiacciato dalle rigidità ideologiche – e spesso ipocrite – dei grillini.
Ma il vero macigno che grava sull’alleanza del “campo largo” non è fatto di ambizioni o divergenze ideologiche. È il peso delle inchieste giudiziarie, un’ombra cupa che avvolge il Pd toscano e minaccia di travolgere ogni progetto di unità. Sebbene Giani non sia personalmente indagato nelle vicende, il suo nome è legato a inchieste che pesano come sentenze politiche.
L’inchiesta Keu, che ha squarciato il velo su un sistema di smaltimento illecito di rifiuti tossici, è una ferita aperta. Ha trascinato nel fango nomi eccellenti, portato ad arresti e rivelato una Toscana che, come capita in Italia, ha chiuso gli occhi di fronte a pratiche che avvelenano terra e comunità. A questo si aggiungono le indagini sui bilanci e altre questioni finanziarie, che lambiscono la gestione regionale, alimentando sospetti e sfiducia.
Per il M5s, che ha costruito la propria identità sulla retorica della moralità, sostenere un candidato sfiorato da tali ombre sarebbe un tradimento imperdonabile. La loro posizione, granitica, è un’arma a doppio taglio: se da un lato ha conquistato consensi, dall’altro si è trasformata in una camicia di forza che strangola le ambizioni dell’alleanza.
Il Pd, sospeso su un filo sottile, si trova intrappolato in un dilemma senza via d’uscita. Da un lato, Giani rappresenta l’usato sicuro, un governatore con esperienza e un seguito fedele. Dall’altro, l’alleanza con il M5s è indispensabile per contrastare un centrodestra sempre più aggressivo in una regione che non è più un territorio esclusivo.
La scelta di Schlein di sacrificare Giani è un gesto estremo per evitare un punto di rottura. Il Pd oscilla tra il pragmatismo e la necessità di salvare un progetto politico già fragile. Le indagini, indipendentemente dal loro esito giudiziario, sono un macigno politico che minaccia di far crollare il castello di carte del “campo largo”. In questa Toscana cupa, dove la morale si piega alla ragion di Stato, la realtà giudiziaria non concede sconti, e il destino dell’alleanza sembra appeso a un filo sempre più logoro.
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