In un fine settimana era difficile che una notizia del genere passasse inosservata (l’ha ripresa per esteso anche Il Sussidiario). Dunque l’Agenzia nazionale per la sicurezza civile della Svezia ha chiesto alla Chiesa di Svezia di predisporre 30mila tombe per militari caduti in caso di guerra con la Russia, piuttosto che per altri e non meglio precisati “gravi disastri” (riferimento verosimile a un possibile bombardamento nucleare da Mosca, ammesso ovviamente che ci possano essere superstiti a seppellire le vittime a Stoccolma, Goteborg o Malmoe).
La fonte è stata il The Nordic Times, un sito giornalistico indipendente fondato due anni fa, con copertura in lingua inglese di tutti i Paesi scandinavi. È parso soffiare sulle braci di un’altra notizia, di pochi giorni addietro: il Governo svedese ha avviato la distribuzione ai 10,5 milioni di cittadini del Regno di un manuale d’istruzioni in caso di degenerazione del conflitto russo-ucraino in “guerra europea”. Che – vista da Stoccolma – non potrebbe che investire subito i Paesi scandinavi.
L’ultima volta (era il 1940, a Seconda guerra mondiale già deflagrata) colpì la Finlandia: oggi entrata in tutta fretta nella Nato con la stessa Svezia, proprio in funzione anti-Cremlino. Ma l’ultima guerra russo-svedese è vecchia di appena due secoli: lo Zar Alessandro venne autorizzato nel 1808 a invadere la Svezia dal trattato di Tilsit con la Francia di Napoleone. E tutti coloro che hanno visitato San Pietroburgo – capitale imperiale russa nonché città natale di Vladimir Putin – sanno che è stata costruita da zero da Pietro il Grande agli inizi del ‘700: sulle rovine di una piazzaforte baltica strappata agli svedesi.
La psicologia sociale – plasmata dalla memoria collettiva – può sicuramente spingere un’agenzia statale a prenotare 30mila sepolture presso la Chiesa luterana di Stato: cui statisticamente (fiscalmente) aderisce uno svedese su due. Ma – una domenica pomeriggio – alcuni interrogativi sembrano leciti.
Uno riguarda certamente un Governo – democraticamente in carica – che in questi giorni alimenta attraverso la sua burocrazia una prospettiva/attesa di guerra: ignorando – almeno oggettivamente – ogni opzione di “non guerra” (ma lo stesso bivio è stato imboccato in direzione bellica tre anni fa dall’Ucraina, che pure oggi accenna a pentirsene).
Quello che però piacerebbe conoscere è la risposta della Chiesa di Svezia: nominalmente “cristiana”. Per caso considera inevitabile – inesorabile, se non “giusta” – la prospettiva di una guerra che la Russia per ora non ha dichiarato contro la Svezia? Davvero giudica suo primo compito principale organizzarsi in vista di 30mila funerali extra? Davvero considera il suo ministero religioso sovrapponibile a quello dei rabbini ebraici, compatti dietro la “guerra di Gaza”, salvo preservare gli allievi delle yeshiva dall’arruolamento al fronte?
Sono passati 107 anni da quando un Papa della Chiesa cattolica ha dichiarato la (prima) guerra mondiale una “strage inutile”. Pure ieri in Corsica – come in tutti i suoi dodici anni di pontificato – il suo successore Francesco ha confermato di non aver minimamente cambiato idea: anzitutto rispetto ai suoi predecessori immediati. Ha ribadito di considerare tuttora “buona novella” contemporanea la “Pacem in terris” del predecessore San Giovanni XXIII. Che a sua volta aveva solo riaffermato la pastorale di tutti i suoi predecessori: da Benedetto XV in poi.
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