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Home » Lavoro » RENDITA VITALIZIA/ La novità del Collegato lavoro che non “libera” il datore inadempiente

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RENDITA VITALIZIA/ La novità del Collegato lavoro che non “libera” il datore inadempiente

Guido Canavesi
Pubblicato 29 Marzo 2025
Sportello INPS

Sportello INPS per le pensioni (Ansa, Ciro Fusco)

Nel Collegato lavoro approvato a fine 2024 è contenuta una norma riguardante la costituzione della cosiddetta rendita vitalizia

Il Collegato lavoro del dicembre scorso (l. n. 203/2024) ha modificato l’art. 13, l. n. 1338 del 1962, aggiungendovi un ultimo comma, del seguente tenore: “Il lavoratore, decorso il termine di prescrizione per l’esercizio delle facoltà di cui al primo e al quinto comma, fermo restando l’onere della prova previsto dal medesimo quinto comma, può chiedere all’Istituto nazionale della previdenza sociale la costituzione della rendita vitalizia con onere interamente a proprio carico, calcolato ai sensi del sesto comma”.


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Scopo della modifica è di ampliare la possibilità per il lavoratore di evitare di subire una perdita totale o parziale della pensione in conseguenza dell’omesso versamento dei contributi dovuti dal datore di lavoro all’Inps e della loro prescrizione.

Va ricordato che la prescrizione contributiva ha efficacia estintiva dell’obbligazione con conseguente esplicito divieto per l’ente previdenziale di accettare eventuali versamenti fuori termine. E quando la prescrizione riguarda i contributi dovuti a una gestione pensionistica, essa rende inapplicabile il principio di automaticità delle prestazioni, esponendo il lavoratore al rischio di un danno pensionistico. Un danno, però, che sarà certo e attuale solo dal momento in cui l’ente previdenziale respingerà in tutto o in parte la domanda di pensione del lavoratore, mentre prima di questo provvedimento, ma dopo la prescrizione, resta allo stato “potenziale”.


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In questo caso, l’art. 13, comma 1, della legge del 1962 consente al datore di lavoro inadempiente di costituire presso l’Inps la c.d. rendita vitalizia, versando una somma pari alla quota di pensione che la contribuzione omessa avrebbe determinato. La medesima possibilità è riconosciuta, in sostituzione del datore di lavoro che non si sia attivato, al lavoratore, che però ne sopporta il costo, salvo la successiva possibilità di richiedere il risarcimento del danno al datore (art. 13, comma 5). La rendita vitalizia, peraltro, non è una prestazione previdenziale, ma una forma di risarcimento del danno (potenziale) in forma specifica.


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Secondo la giurisprudenza prevalente, l’azione per costituire la rendita vitalizia è soggetta alla prescrizione decennale ordinaria, che decorre dal momento in cui si prescrive l’obbligo contributivo. S’è visto, però, in un precedente articolo come si stato sollecitato un ripensamento di questa conclusione, in favore dell’imprescrittibilità dell’azione o, comunque, di una posticipazione del suo termine di prescrizione.

Senza far propria questa prospettiva, la nuova disposizione si muove nella medesima direzione, consentendo esclusivamente al lavoratore, dopo che si è verificata la prescrizione, di costituire la rendita vitalizia presso l’Inps, seppure sopportandone interamente il costo e senza possibilità di ottenere il risarcimento del danno a carico del datore di lavoro. Si tratta, perciò, di un’azione distinta da quella prevista dai commi 1 e 5, anche se dal contenuto è sostanzialmente identica e sempre di natura risarcitoria.

La logica della disposizione vorrebbe realizzare un bilanciamento tra gli interessi non coincidenti del lavoratore, del datore di lavoro e dell’ente previdenziale. Il primo vede ampliarsi il proprio spazio di tutela dal rischio di un danno pensionistico; al secondo è assicurata la certezza dei rapporti giuridici, mediante l’esclusione di una responsabilità risarcitoria; l’ente previdenziale, infine, è tenuto indenne da oneri economici ulteriori, mentre è preservata l’efficacia estintiva della prescrizione contributiva.

Si tratta, però, di un bilanciamento privo di equità dal momento che lascia al lavoratore di rimediare al potenziale danno causato dall’inadempimento datoriale, quando non anche dall’ente previdenziale, rimasto inerte a fronte di un’omissione conosciuta.

Si tratta anche di un bilanciamento instabile, perché dimentica che la giurisprudenza già ora riconosce al lavoratore che ha costituito la rendita vitalizia la possibilità di esperire l’azione di risarcimento del danno ai sensi dell’art. 2116 c.c. e a partire dal momento in cui il danno pensionistico è divenuto certo e attuale, ossia quando sia intervenuto il provvedimento dell’Inps di rigetto totale o parziale della domanda di pensione.

Nonostante la diversa volontà espressa dalla norma introdotta nel 2024, pertanto, non è affatto sicuro che il datore di lavoro non debba sostenere il costo della costituzione della rendita vitalizia.

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Tags: Inps

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