Un’altra delicata questione pende sul sistema giudiziario: la necessaria riscrittura delle regole di funzionamento, partendo dall’elezione, dell’organo di autogoverno della magistratura.
Molti ricorderanno la tempesta giudiziaria che si è abbattuta su questo organismo lo scorso maggio. Gli incontri romani fra toghe e politici furono registrati tramite il trojan installato nel cellulare dell’ex presidente dell’Anm e membro del Csm, Luca Palamara, sotto indagine a Perugia dal 2018 per corruzione.
Secondo l’accusa, Palamara avrebbe ricevuto denaro e benefit in cambio della nomina, non avvenuta, di Giancarlo Longo a procuratore di Gela. A distanza, quindi, di un anno dai fatti per i quali si indagava, nella primavera del 2019 il cellulare di Palamara, grazie alle modifiche processuali introdotte dalla legge “spazzacorrotti”, è stato attenzionato e le conversazioni di quegli incontri hanno fatto emergere una trama di rapporti fra una (sola) corrente della magistratura e taluni politici finalizzata all’individuazione dei magistrati da candidare e sostenere per le cariche giudiziarie.
Con una tempistica alquanto sospetta, ovvero alla soglia della nomina del procuratore di Roma, un giornale pubblica quelle conversazioni, in realtà coperte ancora dal segreto investigativo e scoppia lo scandalo. Un congruo numero di componenti del Csm sono così costretti a dimettersi nelle settimane successive.
Ebbene, dopo oltre 6 mesi, non si hanno più notizie dell’indagine della Procura di Perugia. I cinque ex consiglieri, costretti alle dimissioni, sono da tempo tornati in servizio nei rispettivi uffici. Il dottor Spina, indagato per rivelazione del segreto e favoreggiamento nei confronti di Palamara, è addirittura procuratore facente funzioni alla Procura di Castrovillari, una di quelle più impegnate sul fronte del contrasto alla ’ndrangheta.
La tesi di molti commentatori secondo cui l’indagine di Perugia non sarebbe stato altro che un pretesto per il ribaltone degli equilibri all’interno della magistratura associata prende, francamente, sempre più corpo. Travolta Magistratura Indipendente, la corrente di destra della magistratura di cui facevano parte tre dei cinque consiglieri dimissionari, destinata alla scomparsa Unicost, la corrente di Palamara, gli equilibri all’interno del Consiglio superiore sono, qualunque sarà l’esito di quella indagine, completamente cambiati.
La vicenda è l’emblema dell’abbandono in cui versa il sistema giudiziario. Discutibili ed esecrabili le dinamiche di gestione del potere di nomina dei magistrati cui ricorreva Palamara con i suoi frequentatori, ma discutibili ed esecrabili anche le modalità con cui si è intervenuto a colpire quel fenomeno. L’eventuale rinvio a giudizio di Palamara non muterebbe la valutazione di fondo, ovvero la sensazione di una strumentalizzazione commessa ai danni di una corrente giudiziaria per mezzo di un suo rappresentante compiuta attraverso strumenti di indagine estremamente pervasivi rispetto ai quali potrebbero ritenersi non sussistenti i presupposti processuali. Allo stato, il periodo è coniugato in forma ipotetica ed è forte l’auspicio di venire smentiti.
Tuttavia, il sospetto che al Consiglio superiore della magistratura esistesse (o esista) “un sistema” per la spartizione delle nomine, come affermato dall’ex presidente dell’Anm Luca Palamara e da altri suoi colleghi, resta molto vivo agli occhi di osservatori scevri da interessi di parte. D’altronde, come pure segnalato da taluni mezzi di informazione, quel sospetto si rafforza leggendo alcune delle stesse telefonate intercettate nell’inchiesta di Perugia, dalle quali, secondo alcuni che le hanno ascoltate, si palesa un “sistema” del quale tutti sono perfettamente a conoscenza e in cui le protagoniste assolute risultano essere le correnti della magistratura. Sulla carta “associazioni culturali”, di fatto dei fortissimi gruppi di potere che condizionano pesantemente il sistema giudiziario del Paese.
La loro influenza è indiscussa, al punto che non si riesce di fatto a intervenire per ridimensionarne la portata soprattutto nelle elezioni al Csm. Non pare casuale che lo stesso ministro della Giustizia sia stato costretto a una precipitosa retromarcia sul sistema elettorale del Csm, mandando definitivamente in soffitta il sorteggio, forse uno dei pochi strumenti per affossarle una volta per tutte.
Su questo aspetto il presentato disegno di legge delega formula una proposta che appare interessante. Il futuro Csm sarà composto da 30 componenti, 20 togati rispetto ai 16 attuali e 10 laici rispetto agli attuali 8. Il voto dei togati avverrà in 19 collegi, che saranno definiti tre mesi prima dal ministero della Giustizia. Avverrà in due fasi. L’elettore avrà a disposizione tre preferenze. Sarà eletto al primo turno chi avrà ottenuto la maggioranza assoluta dei voti validi espressi. Se nessuno viene eletto, si procederà con il ballottaggio tra i due che hanno ottenuto più voti al primo turno.
Un meccanismo forse un po’ contorto, ma che di certo ha lo scopo di diluire il potere delle correnti. Auguriamoci che sarà così.
(3 – continua)