Archiviati i referendum sulla giustizia, la riforma Cartabia riparte dalla politica, più precisamente dal Senato. È iniziato infatti ieri nell’Aula di Palazzo Madama l’esame dei 43 articoli della riforma dell’ordinamento giudiziario e del Csm. Il provvedimento, votato in aprile alla Camera, poi sospeso in attesa dell’appuntamento referendario e frutto di estenuanti mediazioni tra i partiti della maggioranza di governo, prevede, tra l’altro, la modifica del sistema elettorale dei membri togati del Csm, il limite a un solo cambio di funzioni tra giudice e pubblico ministero, una stretta sulle “porte girevoli” tra politica e magistratura e l’introduzione di un “fascicolo per la valutazione” dei magistrati.
Ora però il governo è finito sotto pressione, perché la Lega ha deciso di mantenere i suoi emendamenti e ha annunciato la richiesta di voto segreto sulla custodia cautelare, norma estranea al provvedimento. Il voto finale è comunque previsto nella giornata di oggi. Sono in agguato sorprese? La riforma stessa rischia di saltare? Ed è la migliore delle riforme possibili, da approvare in fretta perché ce lo chiede la Ue? Ne abbiamo parlato con Gaetano Pecorella, avvocato penalista e deputato di Forza Italia per quattro legislature.
Dopo il referendum, tocca di nuovo alla politica mettere mano alla riforma della giustizia. Ma la sconfitta dei referendum potrebbe avere strascichi sull’iter di approvazione al Senato?
Razionalmente direi di no.
Perché?
Gli italiani non hanno manifestato una volontà contraria. Semplicemente hanno fatto sapere che sono questioni tecniche o comunque di non facile comprensione. Il loro atteggiamento non è stato di bocciatura. Il buon senso dice che il Parlamento è libero di fare quello che vuole.
Intanto la riforma dell’ordinamento giudiziario e del Csm, incassato l’esame della commissione Giustizia del Senato, che ha respinto tutti gli emendamenti presentati, è approdata a Palazzo Madama e il voto finale è atteso per oggi. La Lega ha deciso di ripresentare i suoi emendamenti. Strada, dunque, ancora in salita?
Credo che per la Lega si tratti di un errore tattico, perché il partito di Salvini aveva votato questo testo alla Camera. È vero che non è il miglior testo di riforma possibile, ma utilizzare questa votazione, dopo la sconfitta del referendum, per far sapere al Paese che la Lega può determinare il risultato del voto credo sia solo un modo per creare problemi al governo, che tra l’altro ha di fronte problemi ben più gravi. E poi i problemi della giustizia sono problemi di tutti, non di uno schieramento piuttosto che di un altro.
Dubbi sulla bontà ed efficacia della riforma Cartabia sono stati però espressi, anche se con ragioni diverse, da Italia viva, Forza Italia, Fratelli d’Italia e M5s. In Aula potrebbero saldarsi queste opposizioni con il rischio di far saltare la riforma?
Uscendo un attimo dalle logiche meramente politiche, ritengo che le riforme vadano completate nel modo migliore, perché quelle che si fermano a metà strada sono le peggiori possibili, e sbarrano il passo al futuro, sbandierando una riforma più di facciata che di sostanza. Una volta avviata questa riforma, la maggioranza di governo ha il dovere di portarla in porto. Altrimenti, uno stop alla riforma significherebbe un voto che delegittima il governo, con una possibile crisi politica di cui in questo momento non abbiamo francamente bisogno.
Significherebbe anche far sì che il prossimo Csm vada a votare con le regole attuali, prospettiva che la riforma vorrebbe, appunto, evitare?
Diceva il mio maestro Gian Domenico Pisapia che spesso il meglio è nemico del bene. È chiaro che tutti vorremmo una riforma più radicale, più decisa nel colpire le correnti dei magistrati, ma in questo momento non ci sono probabilmente le condizioni politiche, né le condizioni storiche e neppure i numeri sufficienti per riuscire a predisporre una riforma davvero incisiva, in profondità, a 360 gradi. Il ministro Cartabia penso che abbia valutato che già così, con una riforma più blanda, andava incontro a problemi e sarebbe stato difficile farla passare in Parlamento.
Entrando nel merito, la riforma dell’ordinamento in discussione tocca tre dei 5 quesiti referendari: riforma elettorale Csm, separazione delle funzioni e valutazione dei magistrati. Giusto non toccare nulla, anche perché l’Europa ci chiede di fare in fretta?
È giusto realizzare la riforma più avanzata compatibilmente con gli attuali numeri su cui può contare il governo. Certo, non è la migliore delle riforme, si poteva fare di più, per esempio prevedendo una votazione più ampia dei futuri componenti del Csm e poi estraendone una parte a sorte. Questo avrebbe senz’altro colpito le correnti. Non è però facile far passare nel Paese determinate idee innovative, anche perché c’è sempre un’antica paura delle reazioni che può avere la magistratura. Ricordo che quando ero presidente della commissione Giustizia si teneva conto anche di questo aspetto. E anche il ministro avrà fatto, diciamo così, i suoi “calcoli”.
Non sarebbe il caso di introdurre qualche correttivo? Su quali temi?
Sulla separazione delle carriere. A mio avviso, nel Paese c’è una profonda convinzione che chi fa il giudice non può fare il pubblico ministero e viceversa: sono due mestieri diversi e se il giudice vuole veramente essere terzo rispetto alle parti in causa, deve avere davanti a sé due soggetti che può valutare allo stesso livello. L’ex giudice che fa il pubblico ministero non può essere valutato da un giudice come un suo ex compagno di strada. La separazione delle carriere, ogni volta che si è fatto ricorso al referendum, ha trovato sempre un’ampia adesione popolare. Si poteva evitare di prevedere anche un solo passaggio. Quando ero presidente di commissione Giustizia, per esempio, pensammo a un meccanismo molto semplice: un magistrato dopo i primi 5 anni doveva compiere la scelta definitiva, senza più poter tornare indietro: o faceva il giudice o faceva il pm per tutta la vita.
Non venne mai approvata?
Fu cancellata dall’allora ministro Mastella, così come bocciò i test psico-attitudinali che dovevano essere fatti dai magistrati.
Con la riforma Cartabia avremo almeno una giustizia meno politicizzata?
Non credo sia possibile, perché la magistratura è ormai diventata uno dei poteri dello Stato, non è più un organo estraneo ai giochi politici. È nel Dna della magistratura entrare nella politica: ci sarà sempre una parte della magistratura che si schiererà a favore o sarà in consonanza con una certa parte politica.
Insomma, secondo lei è un male non più estirpabile?
Forse lo potrebbe essere, ma solo prevedendo tutta una serie di sbarramenti, a partire dal divieto per i magistrati di entrare in politica o nei ministeri. Dovrà fare solo il magistrato, senza alcun “premio” legato ad eventuali sue scelte “politiche”.
(Marco Biscella)
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