LE PAROLE DI CUZZILLA
Oggi si è tenuto l’open day dedicato alla petizione “Salviamo il ceto medio” promossa dalla Cida, dedicata in particolare “a tutti i contribuenti da lavoro o da pensione da 35 mila euro lordi in su, che pagano il 63% di tutta l’Irpef e che anche in quest’ultima ultima legge di bilancio sono stati penalizzati”. Come riporta Adnkronos, Stefano Cuzzilla, presidente della Cida, la Confederazione dei dirigenti e delle alte professionalità, ha evidenziato di non ricordare “negli ultimi anni una sola misura che sia andata a vantaggio del ceto medio. Viviamo in una situazione di penalizzazione continua e, quando va bene, regna il silenzio. Mentre il ceto medio progressivamente scompare”. Cuzzilla ha pertanto auspicato “che questa petizione ‘faccia rumore’ e richiami la giusta attenzione dei decisori ma anche dell’opinione pubblica sulla condizione generale degli italiani, che si stanno impoverendo, tutti”.
I REFERENDUM SVIZZERI
Come riporta swissinfo.ch, “la riforma delle pensioni rispunta un’altra volta al centro del dibattito politico: il popolo svizzero si pronuncerà il 3 marzo su due iniziative popolari provenienti da due campi opposti. I sindacati vogliono fornire un aiuto finanziario alle persone in pensione tramite una 13esima rendita AVS, mentre la sezione giovanile del Partito liberale radicale vuole risanare il sistema facendo lavorare tutti e tutte più a lungo”. Dunque, lunedì i cittadini svizzeri dovranno decidere se aumentare la spesa pensionistica di circa 4 miliardi di franchi l’anno, anche per evitare che i pensionati emigrino per cercare di aumentare il loro potere d’acquisto, mentre domenica saranno chiamati a pronunciarsi sulla richiesta di alzare gradualmente l’età pensionabile a 66 anni con l’obiettivo, più in là nel tempo di legarla alla speranza di vita. Non resta che attendere i risultati delle consultazioni.
I DATI DEL RANDSTAD WORKMONITOR
Dal Randstad Workmonitor, come riporta Il Sole 24 Ore, emerge che “per fare fronte alle conseguenze del carovita i lavoratori hanno messo in atto diverse strategie: il 24% ha intenzione di aumentare o ha già aumentato le ore di lavoro, quasi il 20% sta valutando un secondo lavoro, il 14% pensa di posticipare l’uscita per pensionamento. Ma c’è anche un 14% che ha incrementato lo smart working per ridurre i costi di spostamento. Il 20% degli italiani oggi lavora prevalentemente da casa, il 31% non lo fa ma la riterrebbe la soluzione migliore, secondo quanto spiega la ricerca”. Dalle interviste raccolte, “oltre a straordinari, secondo lavoro, posticipo della pensione, emerge anche l’ipotesi di licenziarsi per trovare una posizione più remunerativa: ci pensa il 13% dei lavoratori, in particolar modo tra la Gen-Z (26%) e i Millennials (22%), mentre l’11% preferisce rimandare eventuali cambiamenti ad un momento più stabile”.
I VANTAGGI DELLA RIFORMA IRPEF PER IL FONDO CLERO
Come ricorda Avvenire, “entra nel vivo la riforma delle imposte sui redditi dei lavoratori e dei pensionati. Vantaggiosa soprattutto per chi percepisce redditi entro 28mila euro. Per tutti i titolari di pensioni, compresi i sacerdoti nel Fondo di previdenza per il clero, l’Inps da venerdì 1° marzo applica la nuova tassazione sulla rata in riscossione, alla posta o in banca. La riforma è entrata in vigore dal 1° gennaio scorso, per cui la stessa rata include i conguagli relativi ai mesi di gennaio e di febbraio”. Qualcosa cambia in meglio per i sacerdoti che riscuotono anche una pensione pubblica come docenti di religione, considerando che la pensione di vecchiaia del Fondo clero sfiora i 9.000 euro, che il vantaggio fiscale si ha solo per redditi sopra i 15.000 euro e che l’Inps deve applicare l’Irpef sul reddito complessivo delle due pensioni. Ricordiamo che le pensioni di marzo saranno pagate venerdì 1 marzo e potranno essere prelevate, anche non in toto, il giorno stesso presso gli uffici postali, se non accreditate in banca.
RIFORMA PENSIONI, LA CONVENIENZA DEL RISCATTO DELLA LAUREA
In un articolo pubblicato su L’Economia, inserto del Corriere della Sera, viene spiegato che il riscatto della laurea ai fini pensionistici può convenire di più alle donne che agli uomini. “Il riscatto degli anni di studio serve infatti a raggiungere prima il requisito basato sull’anzianità contributiva. Poiché le lavoratrici hanno questa tipologia di requisito, chiamato ‘pensione anticipata’, di un anno più breve (41 anni e 10 mesi) rispetto ai lavoratori (42 anni e 10 mesi di contribuzione), il riscatto di laurea può offrire un maggiore aiuto”. Tuttavia, “se si guarda alla variazione dell’importo dell’assegno pensionistico, vale la regola che ‘tempo e denaro’, quando si parla di pensioni, non vanno d’accordo. Ad un anticipo di quasi tre anni e mezzo, per chi è nel sistema contributivo, corrisponde un calo dell’assegno di circa il 13%”.
L’EFFETTO LEVA PER ALCUNE LAVORATRICI
Invece, “per le 55enni e 60enni, che hanno invece una quota retributiva, il calo sarebbe più ridotto (-8%) pur a fronte di un maggior anticipo del momento della pensione. Il riscatto di laurea, per queste lavoratrici, avrebbe perfino un effetto leva: riscattando 5 anni si andrebbe in pensione più di 5 anni prima: ciò accade perché anticipando il ritiro dal lavoro si risparmiano gli incrementi periodici dei requisiti pensionistici. Per la maggioranza di chi invece ha iniziato a lavorare più tardi, a partire dai 27 o 30 anni, il riscatto della laurea non avrebbe alcun effetto o addirittura potrebbe rivelarsi una beffa, costringendo ad andare in pensione più tardi, come accadrebbe ad esempio ad una lavoratrice 55enne che avesse iniziato a contribuire a 30 anni al netto di buchi contributivi”.
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