RIFORMA PENSIONI/ Il numero che manca nei dati Inps in vista del post-Quota 100

- Giuliano Cazzola

Il Coordinamento attuariale-statistico dell'Inps ha pubblicato le statistiche sulle pensioni vigenti al 1° gennaio. Sembra esserci una lacuna importante

mortalità covid pensioni Inps (Lapresse)

Il Coordinamento attuariale-statistico dell’Inps ha pubblicato le statistiche sulle pensioni vigenti al 1° gennaio. Come sempre la nota apre un orizzonte sull’universo pensionistico previdenziale e assistenziale, con le ripartizioni riguardanti la tipologia delle prestazioni, i regimi, il genere, l’importo complessivo e medio. Al solito non compaiono i dati del pubblico impiego, ma solo dei settori privati dipendenti e autonomi: il che rappresenta un handicap serio essendo l’Inpdap incorporato dell’Inps da quasi un decennio. Nell’Osservatorio in esame vi è un’altra lacuna che, in verità, potrebbe costituire persino una reticenza: l’età media effettiva alla decorrenza è indicata considerando tutte le prestazioni di vecchiaia, senza specificare l’età media effettiva riguardante il pensionamento anticipato. 

Perché sollevo questo problema? In questo modo l’età media effettiva risulta più elevata (per effetto dei 67 anni richiesti per la vecchiaia in senso stretti) rispetto a quella in cui vanno in quiescenza la maggioranza dei soggetti (se uomini) avvalendosi della scorciatoia del trattamento anticipato (attraverso sia quota 100, sia il requisito ordinario di anzianità a prescindere dall’età anagrafica). Risulta così che, nel 2020, il dato anagrafico medio della vecchiaia alla decorrenza è pari a 64,3 anni. Un dato corretto, ma compiacente, perché distoglie l’attenzione dal fatto che in Italia è più diffusa – soprattutto nel lavoro dipendente – la quiescenza anticipata a un’età effettiva compresa tra i 62 e i 63 anni. 

Nel momento in cui il dibattito sulle pensioni continua a girare intorno (alla scadenza di quota 100) a come evitare lo “scalone” di 5 anni che si profila quando cesseranno i regimi sperimentali e transitori, e quindi alla disciplina del trattamento anticipato, è opportuno distogliere l’attenzione da quando gli italiani – delle attuali generazioni – tagliano in traguardo della pensione, per poter continuare ad agitare l’età legale di vecchiaia a 67 anni come una delle più elevate in Europa, quando tutti sanno che l’età effettiva è più bassa. Sia chiaro, il pensionamento anticipato esiste nella grande maggioranza dei Paesi europei, ma coloro che ne usufruiscono sono generalmente inferiori di numero rispetto a quanti accedono al trattamento di vecchiaia (che la normale via d’uscita dal lavoro); inoltre, l’anticipo della pensione, laddove è consentito, è sottoposto a penalizzazioni economiche che da noi non sono previste. 

In sostanza, nel settore privato alle dipendenze e autonomo, al 1° gennaio scorso vi erano 4.668.113 pensioni anticipate (più 210mila prepensionamenti) e 4.667.766 di vecchiaia. La spesa complessiva nel 2020 è stata nel primo caso pari a oltre 105 miliardi e a 41 miliardi nel secondo. La differenza – lo si è spiegato molte volte – deriva dall’importo dell’assegno, essendo richiesto per l’anticipo una anzianità di servizio con relativo versamento dei contributi molto elevata, mentre per la vecchiaia sono sufficienti almeno 20 anni, a condizione di far valere un elevato requisito anagrafico. In breve: da noi si va in pensione a qualunque età se si ha avuto una vita lavorativa lunga e stabile; a 67 anni se si hanno pochi contributi. 

Il fatto è che – per come è composto il mercato del lavoro – sono in maggioranza gli uomini delle generazioni baby boomers a maturare – prima dei 67 anni – l’anzianità di servizio che ne consente l’esodo (e quindi con importi più elevati) anticipato, al contrario delle lavoratrici che sono le maggiori utenti della vecchiaia. Sul totale dei pensioni di anzianità gli uomini sono 3,5 milioni, mentre sul totale di quelle di vecchiaia le donne sono 2,8 milioni. 

Se si prende in esame il lavoro dipendente i trattamenti anticipati ammontano a 2.980.981 unità (di cui 717mila lavoratrici), quelli di vecchiaia a 2.529.590 (di cui 1,7 milioni donne), per una spesa annua rispettivamente di 77 miliardi e di 26 miliardi. Nel 2020 le nuove pensioni erogate nel Fpld sono state 160 mila di anzianità e 100 mila di vecchiaia, per una spesa rispettivamente di 4,5 miliardi e di 1,4 miliardi. Considerando l’insieme dei settori privati sono state erogate 235 mila pensioni anticipate e 195 mila di vecchiaia (importi complessivi: 5,9 miliardi contro 2,2 miliardi). Dall’analisi della distribuzione territoriale si osserva che l’area geografica che registra la percentuale più alta di prestazioni pensionistiche al 1 gennaio 2021 (con particolare riferimento ai trattamenti anticipati) è l’Italia settentrionale con il 47,73%, al Centro viene erogato il 19,34% delle pensioni, mentre in Italia meridionale e nelle isole il 30,8%; il restante 2,13% (378.479 pensioni) viene erogato a soggetti residenti all’estero. 

Calcolando il rapporto tra numero di pensioni e popolazione residente (per mille) di ciascuna area geografica, si osserva che il Nord continua a essere l’area con il maggior numero di pensioni per mille residenti (307,6 per mille), seguita dal Centro con il 291,0 per mille e dal Mezzogiorno con il 271,5 per mille. Osservando la distribuzione per categoria si osserva che il Nord ha un numero di pensioni per residente maggiore per le categorie vecchiaia e superstiti, seguito dal Centro e dal Mezzogiorno, mentre l’ordine si inverte per le pensioni di invalidità previdenziale e per le prestazioni assistenziali.

Le prestazioni di tipo assistenziale sono costituite per il 20,2% da pensioni e assegni sociali di cui il 37,1% erogate a soggetti di sesso maschile, il restante 79,8% delle prestazioni sono erogate a invalidi civili sotto forma di pensione e/o indennità, di queste ultime la quota erogata agli uomini è del 41,2%. Analizzando le sottocategorie si osserva che il 43,3% di pensioni e assegni sociali ha avuto origine da una pensione di invalidità civile; ne deriva che le prestazioni legate all’invalidità sono 3.527.379 e costituiscono l’88,6% del complesso delle prestazioni assistenziali. La prestazione di maggior rilievo è l’indennità di accompagnamento per invalidi totali che rappresenta il 45,6% della totalità delle prestazioni e costituisce quasi la metà (49,7%) dell’importo complessivo annuo in pagamento. 

Si osserva che le prestazioni di tipo assistenziale erogate agli uomini presentano un tasso costantemente inferiore al 50%; questo fenomeno può essere attribuito a una maggiore presenza delle donne nelle classi di età più avanzata (con maggior rischio di invalidità) insieme a una maggiore esposizione alla povertà (molte donne in età avanzata non hanno avuto versamenti sufficienti per la maturazione di una prestazione previdenziale). 

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